Manifesto of Innovation (notes)

Manifesto of Innovation (notes)

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Oggi, a livello di prodotto finale, l’Innovazione non funziona: nel settore publbico sono state spese cifre enormi (insostenibili) ma la qualità di servizi (e delle Città in generale) è sempre peggiore; e nel Mercato i grandi Player  non sono in grado di sviluppare l’innovazione che oggi stanno sviluppando le piccole Start up.

Il problema è che “l’Innovazione” (del Prodotto finale) oggi fallisce i suoi obiettivi (creare un reale valore per l’utente, ed essere di per sé sostenibile). Ovvero oggi manca una riflessione una riflessione critica rispetto alla mancanza di risultati effettivi, e quindi si

continua imperterriti a procedere
CON LA STESSA FORMA MENTIS, LO STESSO PARADIGMA
CHE HA PRODOTTO I PROBLEMI CHE SI VOGLIONO RISOLVERE.

Nella migliore delle Ipotesi i progetti sono fine a se stessi poiché sono afflitti da un difetto di fabbrica (si basano su un paradigma errato) che non permette di creare un Valore “utile” (per l’utenza), e di sviluppare una reale “creatività” nelle modalità di produzione e distribuzione.

Ma Nella maggior parte dei casi i Progetti per la P.A. (Smart City, Mobility, ecc ….) non sono nemmeno più in grado di entrare in una fase pilota per mancanza di fondi

I Principi di base dell’Innovazione sostenibile

1. INNOVARE È TROVARE UNA SOLUZIONE PER UN PROBLEMA DELL’ESSERE UMANO

Per quanto riguarda il prodotto finale, innovare significa trovare una soluzione per la soddisfazione di un bisogno dell’uomo.

Ovvero:

IL FINE DELL’INNOVAZIONE È L’UOMO
(un miglioramento della qualità della vita delle persone).

2. L’ESSERE UMANO È IL CREATORE DELL’INNOVAZIONE

Se l’uomo è il fine dell’Innovazione,

una reale Innovazione si sviluppa solo
QUANDO L’ESSERE UMANO
(detentore dei bisongi da soddisfare)
È PROTAGONISTA DELL’IDEAZIONE DELLA SOLUZIONE.

Ciò vale anche per la Catena del valore, che deve essere radicalmente innovata tenendo rendendo protagoniste le persone coinvolte nei processi.

E’ necessario considerare che nella Storia l’innovazione (che abbia portato effettivi risultati positivi nel miglioramento della qualità della vita dell’uomo) è sempre avvenuta dal basso (dall’aratro all’aeroplano).

Ovvero le componenti “tecniche” di una soluzione, non costituiscono “innovazione”: la tencica (tecnologie) è solo uno strumento, un fattore abilitante.

Oggi le tecnologie disponibili sul Mercato hanno già raggiunto un livello di sviluppo sufficiente per soddisfare i bisogni più complessi – ciò vale anche per le Tecnologie consumer, a basso costo.

Ovvero non c’è bisogni di ulteriore evoluzione delle tecnologie: manca solo l’applicazione dell’ingegno umano ad esse.

3. L’INNOVAZIONE È UN CAMBIAMENTO RADICALE (un cambiamento del paradigma)

A monte di tutto vi è un equivoco sul significato di Innovazione: oggi si persegue una strada che non è affatto innovativa.

Innovazione non è miglioramento del prodotto (o del processo di sviluppo di esso):

Innovazione è un cambiamento radicale dell’esistente (un salto nell’evoluzione lineare del processo di miglioramento).

In particolare nelle epoche di disruption, di discontinuità rispetto all’evoluzione lineare della Storia – come è quella attuale – è necessario fare un salto di qualità nella definizione di strategie di sviluppo di soluzioni.

Il Problema è che oggi si continua a sviluppare progetti che si basano su una forma mentis superata.

Per innovare è necessario fare un passo indietro prima di farne uno avanti. Ovvero è necessario, a monte di tutto, ridefinire il Paradigma applicato.

Ciò vale sia per il prodotto finale che per la creazione/produzione del prodotto.

4. PER INNOVARE È NECESSARIO DOTARSI DI UNA VISION

Innovazione è un salto “nello sconosciuto”: si inizia un processo di cambiamento essendo privi di esperienza, senza avere chiari modelli di riferimento circa le caratteristiche prodotto finale (e del processo di sviluppo di esso).

E’ quindi necessario per lo meno avere una Vision che dia una direzione al processo: senza  una chiara Vision si procede “alla cieca”, e si si finisce per sviluppare progetti fine a stessi  (si sviluppa un loop: il processo non ha né una direzione, né solide basi, e quindi ripiega costantemente su se stesso).

Ciò avviene, perché in mancanza di un Vision (di una società migliorata dall’impatto prodotto dalla Soluzione) si porta l’attenzione su processi e strutture (sulle questioni tecniche)  e non sul fattore umano (per quanto riguarda la qualità del prodotto e la catena di sviluppo del valore).

Si noti l’importanza del fattore umano  a livello di produzione: tra le altre cose la Vision è indispensabile per mobilitare le energie necessarie al cambiamento radicale che una reale Innovazione  comporta (l’innovazione comporta, per le persone che operano nella Catena del valore, uno sforzo non indifferente: ovvero per poter attivare un processo di reale innovazione è necessario una Vision condivisibile).

La Vision è il futuro.
Darsi una Vision significa darsi un futuro.
Senza Vision non c’è futuro per le soluzioni.

Per quanto riguarda le soluzioni sviluppate per le P.A. (Smart City, Mobility, ecc …) è necessario avere una Vision chiara (e convincente per i Cittadini) di come possa essere lo scenario generale indotto dalla soluzione.

Solo in questo modo – coinvolgendo i cittadini nei cambiamenti – è infatti possibile innescare il processo virtuoso che porta ad una reale innovazione .

5. L’INNOVAZIONE È UN PROCESSO  DI CAMBIAMENTO COSTANTEMENTE IN PROGRESS

Le soluzioni in una fase di cambiamento  disruptive – come quella attuale – non possono essere definite in un sol colpo.

Ciò perché:

mancando chiari modelli di riferimento è necessario (oltre ad avere un Vision che dia la direzione al processo di cambiamento) “navigare a vista”,  effettuando un cambiamento e quindi –  step by step – valutando i risultati fino a quel punto ottenuti prima di porcedere.

essendo l’obiettivo dell’innovazione la soddisfazione di bisogni del pubblico, è necessario considerare che questi bisogni sono  un moving target (o meglio un mutant target).

Il fatto è che quando si applica un cambiamento (innovazione) si modifica tutto il sistema (di bisogni) su cui si interviene. Ovvero intervenendo in un sistema di tale complessità, (1) si ottengono risultati collaterali non previsti (che vanno corretti prima di sviluppare nuovi step). E (2) si creano nuovi bisogni da parte di utenti (che, grazie all’innovazione introdotta, raggiungono una nuova consapevolezza).

Ciò significa che per innovare è necessario creare strutture flessibili, adattabili sia per quanto riguarda le soluzioni, sia per quanto riguarda la produzione.

Il bluff dell’innovazione

Oggi i grandi Player del Mercato (e le Pubbliche Amministrazioni) non sono in grado di sviluppare  reale valore del prodotto finale (una reale innovazione), e devono quindi ricorrere “scorciatoie” per mantenersi in vita:  sostanzialmente sono costretti “accedere a finanziamenti pubblici”.

In questo modo essi, paradossalmente, lasciano liberi enormi spazi per le Start Up di piccole dimensioni.

Come indicato in altri documenti, ciò è dovuto all’attuale condizione del Mercato, nel quale si è sostituita la figura dell’Imprenditore con quella di Manager e Consulenti, i quali, in confronto all’Imprenditore mancano delle capacità di intuizione che permetteva ai business  di sviluppare Innovazione (valore per l’utenza).

[ vedi pag. “I problemi di Società e Mercato” ]

Le attuali strategie di Mercato hanno potuto avere successo poiché si sono creati bisogni (“artificiali” ) che hanno indotto  i consumatori ad “acquisti d’impulso”. Ma ora, nella attuale situazione di crisi economica, tale tipo di strategia tende a non funzionare più per mancanza di disponibilità alla spesa da parte dei consumatori (che ripiegano quindi su prodotti in grado di soddisfare bisogni reali).

Oggi tali strategie di Marketing “evoluto” hanno ancora un qualche successo laddove si affidano ai prestiti per i consumatori (muti, rateizzazioni, ecc …). Ma, come è accaduto in altri periodi, tale bolla è destinata a scoppiare.

Verso una soluzione

Oggi è possibile superare tale problema recuperando la capacità dell’Imprenditore di creare valore per il consumatore immedesimandosi nei suoi bisogni.

Ma oggi lo sviluppo delle ICT permette infatti di evolvere ulteriormente tale forma di sviluppo del Valore: oggi è possibile portare il Crowd dentro il processo di creazione del Valore del prodotto (definendo un business Crowd-driven).

[ vedi cap. “Crowd driven economy” nel doc.  “ Mobility 2.0: White Paper ]

 Si tratta di prendere in considerazione i nuovi Trend tecnologici e sociali (che attualmente si cerca di adattare a modelli superati): essi oggi non sono un’opzione, sono una impellente, ineluttabile richiesta di cambiamento dal basso.

Ovvero è necessario, a monte di tutto, prendere in considerazione fattori come la dimensione post-industriale – Industry 4.0, Makers, ecc …. – in cui siamo (oggi si ragiona ancora nei termini dell’Era industriale); o l’evoluzione del rapporto delle persone con il Mercato (“il Sistema” di Governance).

[ vedi Innova / ForeVision ]

Ridefinire il concetto di Città

LA NECESSITÀ DI RIDEFINIRE
IL CONCETTO DI CITTÀ
(e di government della città)

( post originariamente pubblicato sul sito “Luca Bottazzi Consulting” – vedi )

[ estratto dal PDF “Policies 2.0 e Smart Innovation per un movimento outsider che ricopra cariche governative a livello locale” ]

Per poter coinvolgere i cittadini in un processo di sviluppo della Democrazia partecipativa è necessario in primo luogo essere in grado spiegare in modo chiaro e condivisibile (in modalità neutra rispetto alla politica, bi-partisan) cosa significhi realmente partecipazione.

Ritorniamo quindi sull’importanza per una Giunta formata da un movimento outsider, di attivare dall’immediato strategie che possano permettere ad essa di sopravvivere agli attacchi dell’establishment, e di poter continuare lo sviluppo dei propri programmi anche una volta lasciato l’incarico.

Come si è detto si tratta, appunto, di

mettere dall’inizio il focus sulla produzione di
strumenti di partecipazione per i cittadini
per poterli al più presto coinvolgere in una effettiva di partecipazione

(condizione grazie alla quale la Giunta assume un “potere di fatto” che mette in difficoltà eventuali controffensive dell’establishment).

In caso contrario si finisce per praticare una normale politica dei partiti (se si cerca semplicemente di riformare aspetti specifici della amministrazione della città), e ci si espone fortemente al rischio di cedere alle strategie di forte contrasto dei “partiti istituzionali” (si deve tener conto che in tal modo si perderebbe la propria identità di partito orientato ad istituire una Democrazia partecipata, che verrebbe quindi meno il supporto della cittadinanza che lo ha sostenuto alle elezioni).

Per partire con il piede giusto è quindi necessario definire a monte i propri principi ed obiettivi.

W. Cox (importante esperto internazionale di questioni legate all’Urbanistica) propone di

partire con la domanda:
“Quale è lo scopo della Città?”.
Alla quale risponde “sono le persone”.

Ma il concetto può essere esteso alla Democrazia, che è, appunto, un sistema di government che ha come fine le persone. Ovvero nello stabilire le strategie che portino alla Democrazia partecipata è necessario tener conto che in Democrazia qualsiasi iniziativa non può che essere finalizzata alla soddisfazione dei loro bisogni dei cittadini.

In altre parole, per partire con il piede giusto,

è necessario riuscire a comunicare una Vision
nella quale i cittadini possano identificare se stessi,

basata su principi ed obiettivi che essi hanno individuato nel Movimento quando hanno deciso di sostenerlo alle elezioni (sostanzialmente l’istituzione di una Democrazia partecipativa).

Questi principi ed obiettivi vissuti dalla maggior parte degli elettori come “teorie” attraverso le campagne mediatiche o gli slogan elettorali,

devono ora divenire un credibile progetto per un futuro possibile,
nel quale i cittadini siano
i protagonisti del government del loro territorio.

Si deve cioè proporre ai cittadini un progetto che si basi appunto su una concezione della Città non più come un sistema composto dagli elementi meccanicistici della attuale concezione (meccanismi di government/amministrazione/burocrazia); elementi gestiti dall’alto da chi pensa di sapere quali sono i bisogni specifici di ogni area della Città.

Ma un progetto basato sulla concezione della città come eco-sistema nel quale ogni cellula che contribuisce al suo funzionamento globale è formata dai gruppi di esseri umani che la abitano: persone accomunate dall’abitare in aree specifiche del vicinato, del quartiere.

Si tratta cioè di proporre

una Vision che attivi il motore fondamentale del cambiamento
sviluppato in modalità partecipata:
la voglia di migliorare la propria qualità della vita.

Una Vision che deve essere quindi credibile e motivante, nella quale i cittadini possano veramente pregustare (visualizzare) i risultati del processo di cambiamento verso una Democrazia partecipata.

IL PERCORSO DI CAMBIAMENTO INIZIA DAL RIPENSARE LE CITTÀ
(riforma della governance cittadina – riformare la Urban governance)

La considerazione che è alla base del processo di riforma dei processi di government della Democrazia non può essere quindi che la città attualmente non funziona – ciò sia che si voglia vedere la cosa vedere dal punto di vita delle inefficienze dei servizi, sia del deficit economico o della qualità della vita.

La città è appunto un sistema organico la cui esistenza è dovuta ad un suo “metabolismo”, basato sulle interrelazioni tra le sue “cellule” (gli esseri umani, o meglio tra le micro-comunità create sul territorio dagli esseri umani). Delle componenti complesse, non definibili con modelli razionali.

Il problema è appunto che oggi la città è vista come un insieme di elementi .. razionali – servizi, infrastrutture, strutture burocratiche – le quali sono “sovrastrutture” rispetto all’essenza del “sistema”: le persone.

Non si tratta di retorica: sino a che non si abbandonerà l’attuale concezione che pone l’attenzione sulle “sovrastrutture” vi saranno sempre le attuali gravi inefficienze, ed insoddisfazione delle persone: e di conseguenza vi saranno sempre insostenibilità di costi (e perdita di consenso elettorale).

Un processo di riforma del sistema-città deve quindi partire dal riportare la città ad una dimensione che le permetta di funzionare.

Ovvero riportare la città a quella funzione per la quale sono nate le comunità dell’uomo: la soddisfazione dei bisogni delle persone. Una dimensione della città nella quale le persone sono contemporaneamente il Fine ed il “motore”.

L’attuale approccio alla governance della Città, che pone la propria attenzione sulle “sovrastrutture” (elementi meccanicistici che appartengono al mondo razionale meccanicistico) non è quindi in grado di risolvere i problemi di un sistema di soddisfazione di bisogni umani: l’eco-sistema urbano, che è per sua natura non-razionale, non è riducibile a tale livello, e non “pianificabile”.

Si tratta cioè di vedere la città come un eco-sistema di soddisfazione dei bisogni. E di comprendere come tale eco-sistema della città non possa essere gestito dall’alto, “dal di fuori” poiché in questo caso si entrerebbe in conflitto con il suo metabolismo. Ossia in tal caso la gestione dei bisogni verrebbe a perdere sua qualità più importante: il diretto contatto con i bisogni da parte dei “progettisti” dei servizi (le analisi in tal caso divengono astratte rispetto al contesto reale – è ciò che avviene ora – e le soluzioni che ne derivano sostanzialmente inefficaci).

Il problema è che nell’approccio attuale nel quale si pretende di soddisfare i bisogni dall’alto, si perde la capacità di individuare i bisogni nelle sue sfumature (e quindi l’essenza dei bisogni umani). E si perde la possibilità di seguire i bisogni nel loro trasformarsi continuamente in molti loro dettagli.

Si deve considerare che oggi viviamo in una epoca di cambiamenti, di continue trasformazioni, e la città è difficile da fissare in un modello (sono in continua trasformazione gli elementi che caratterizzano la vita della città: il mondo del lavoro, le questioni di sicurezza sociale, l’educazione scolastica, l’integrazione sociale, ecc … ).

In questa situazione è più che mai determinante la necessità di avere servizi ed infrastrutture capaci di cogliere tali trasformazioni “in tempo reale” (queste istituzioni devono essere di per sè “evolutive”, ossia essere capaci di adattarsi alle continue trasformazioni in atto).

Questo tipo di gestione del processo di cambiamento non può appunto essere gestito interamente dall’alto, ma ha bisogno di una importante partecipazione dei cittadini, che sono le uniche persone in grado non solo di individuare i bisogni nelle loro complesse sfumature, ma anche di monitorare il funzionamento delle soluzioni per correggerne gli errori.

Si tratta quindi di

rimettere la persona al centro
della progettazione della soluzione di bisogni.

Di trasformare i cittadini utenti in attori del cambiamento.

E per fare in modo che le persone si sentano coinvolte in questo processo di cambiamento, esse devono essere coinvolte con una Vision credibile; e ad esse deve essere proposto un ruolo attivo nel government ed amministrazione della fase di transizione (nella creazione di modelli, regole, servizi, infrastrutture, ecc ..).

la necessità di offrire un percorso esperienziale

Le persone devono cioè essere, tra le altre cose, investite della responsabilità del cambiamento: devono rendersi conto che la qualità della loro vita sociale dipende in massima parte dal loro impegno nel cambiare effettivamente le cose.

Uno dei propositi espressi dalla Giunta di Torino del 2016 è, appunto, ”senza calare progetti dall’alto” .

All’opposto vi è, appunto, l’idea seguita sin dall’unità di Italia, di “fare gli italiani” dall’alto. Ovvero l’idea di avere uno “Stato pedagogo” che riesca ad indurre, “dall’esterno”, nella coscienza dei cittadini il senso di appartenenza e di responsabilità necessario al buon funzionamento delle strutture organizzative del territorio.

Tale modalità non ha prodotto, in un secolo e mezzo di tentativi, il risultato sperato, e l’Italia continua ad essere una Nazione priva della presenza di reali Cittadini. E continua quindi ad essere caratterizzata da una elevata inefficienza delle strutture di government e di amministrazione (e dall’inefficacia dei servizi pubblici).

Ciò che va compreso è che la coscienza dell’essere umano può solo essere sviluppata con un percorso maieutico che preveda una esperienza diretta della realtà (è il metodo indicato dalla Sceinza moderna di azione e correzione dell’errore).

Per questa ragione è necessario dare ai cittadini la possibilità di agire in modalità di government ed amministrazione partecipati (fornendo strumenti e processi di reale partecipazione). E, contemporaneamente, la responsabilità delle loro azioni.

Il Placemaking illustrato nel prossimo capitoletto è proprio una delle possibili modalità per investire i cittadini della responsabilità del cambiamento.

Placemaking: partire dagli spazi pubblici dei cittadini

çç_placemaking (approfondimento)

Per avere una città che sia realmente basata sull’uomo, è necessario ristrutturare le attuali aree urbane partendo dall’uomo.

Ovvero, si tratta di

rimettere il territorio delle città in mano all’uomo

il quale, quando gli è permesso di organizzare direttamente la propria vita, è in grado di progettare e gestire (in compartecipazione con le Istituzioni) le soluzioni di soddisfazioni dei propri bisogni meglio di come possono farlo le Istituzioni centralizzate (nessun è in grado di individuare i bisogni del territorio, e di progettarne le soluzioni di soddisfazione, meglio degli stessi detentori dei bisogni).

Questo processo di riappropriamento della gestione della città da parte dei cittadini può essere avviato con l’utilizzo di “strumenti virtuali” (descritti in IRDB), ai quali devono però essere affiancati elementi reali, concreti.

Questi ultimi elementi possono essere, appunto, degli spazi di cui i cittadini possono prendere possesso per modificarli in base alle loro esigenze.

Questo gestire direttamente la città da parte dei cittadini delineato in queste pagine non è altro (per lo meno per alcuni aspetti) che una dimensione di Democrazia partecipata. E’ cioè un modo di

INIZIARE A SVILUPPARE
UN GOVERNMENT/AMMINISTRAZIONE PARTECIPATO
PARTENDO PROPRIO DA FORME DI PARTECIPAZIONE SPONTANEE.

Ossia iniziare a sviluppare una Democrazia partecipata partendo da forme di partecipazione tipiche della tradizione della gestione del territorio, nelle quali gli individui si riuniscono spontaneamente come quando si tratta di “governare” il prorpio giardino o cortile. Si tratta di una forma di “politica spontanea” che nella sua dimensione “non-politica” aggrega persone che – pur non desiderando esse essere coinvolte in attività tipiche della politica dei partiti – si sentono in questo caso naturalmente motivate a sviluppare forme di “attivismo” anche molto impegnativo (e, aspetto significativo, con questa modalità si opera su un terreno universale, riuscendo così a coinvolgere persone dalle “preferenze politiche” differenti).

Si noti che il Placemaking è un primo livello di Urbanistica partecipata (illustrata in uno dei capitoli successivi).

Placemaking: la creazione di spazi pubblici per poter sviluppare forme effettive di partecipazione

Riassumendo, la questione è quindi che un partito che si è presentato alle elezioni con un programma (una identità) che esprimeva la volontà di riformare l’attuale Democrazia verso un sistema di Democrazia partecipata, deve operare dall’inizio in direzione della creazione di strutture governative realmente partecipate. E quindi di coinvolgere i cittadini in questo cambiamento.

E per poter coinvolgere le persone in effettivo processo di cambiamento, un ottimo modo per iniziare è

concedere ai cittadini l’utilizzo di
spazi pubblici da trasformare secondo le loro esigenze

(che essi si possono scegliere all’interno del loro quartiere o vicinato, e sistemare secondo le loro esigenze).

In questo modo si attiva un processo virtuoso di partecipazione che permette ai cittadini di sviluppare maggiore consapevolezza nei confronti di government ed amministrazione ultra-locali partecipate. E, più nello specifico, si possono contemporaneamente mettere a punto strumenti e modalità di aggregazione, comunicazione orizzontale e verticale – tra i cittadini e tra i cittadini e le istituzioni (vedi progetto IRDB)

Con il Placemaking vengono utilizzati di spazi pubblici come piazze o tratti di strade del quartiere da chiudere al traffico, edifici pubblici sotto-utilizzati, ecc … I quali possono essere trasformati in aree di pubblica utilità: semplicemente luoghi di incontro, o aree “attrezzate” nella quali poter svolgere attività di pubblica utilità specifiche di tipo culturale, sportivo, ricreativo, di svago, ecc … [vedi, ad esempio, l’Iniziativa Social Tennis di IRDB, a cui si accenna più avanti]

Si noti che il Placemaking è solo un punto di inizio di un percorso di riforme sostanziali del sistema di servizi attuale. Potendo i cittadini piazzare in questi luoghi pubblici – con spese molto basse di costruzione e manutenzione – piazzare casotti, impianti sportivi, giochi per bambini, dehor ed altro, è possibile sviluppare in questo modo una nuova modalità di Welfare dal basso che può portare ala creazione di servizi migliori (e a costi minori) di quelli attuali

Si noti che questa modalità di intervento sul territorio è l’unica che permetta una reale valorizzazione (o riqualificazione) del territorio, essendo in questo caso possibile sviluppare un valore effettivo per i cittadini (e non, come è ora, un valore presente nella mente di chi governa il quale, per quanto capace ed onesto, non può che concepire progetti di “design” astratto, e forme di “ingegneria sociale” che pretendono di imporre dall’alto attitudini nelle persone).

Placemaking: una esperienza per IMPARARE NEL FARE

Attraverso la gestione diretta di alcune parti del territorio (bastano, ad esempio, pochi isolati di una strada, o una piazza, o un giardino) si attiva un processo virtuoso nel quale i cittadini possono “imparare facendo” (possono crearsi una consapevolezza di come con una effettiva partecipazione si possano migliorare le cose: questo è il primo requisito per poter indurre i cittadini ad una effettiva partecipazione).

Un esempio di Placemaking sono le attuali feste di vicinato. In tal caso si tratta di un Placemaking temporaneo (limitato ad una giornata) ed appena abbozzato (con interventi minimali). Ma il Placemaking non è, sostanzialmente, che una evoluzione del concetto delle Feste di vicinato.

Con il Placemaking si arriva quindi dal basso, ed in modalità essenzialmente partecipata di co-progettazione, ad una ridefinizione della città nella sua dimensione funzionale – ed estetica – ed in quella di government.

Una delle caratteristiche di questo percorso non-politico di partecipazione al government è che esso

non crea il politic divide
che qualsiasi iniziativa di riforma della città
attuata
da una Giunta comunale finisce per produrre.

In questa modalità si definisce infatti una dimensione bi-partisan degli interventi: di “cause comuni” che coinvolgono cittadini di qualsiasi credo politico.

l’importanza del recupero di valori fondanti della comunità locale

Questo percorso di ridefinizione della città basato su un approccio non-politico permette, tra le altre cose, di recuperare quei valori che oggi sono andati perduti, e che sono alla base del funzionamento fisiologico del sistema città (valori che sono stati perduti nella grandi città, ma che sono ancora alla base della vita, e del “government”, nelle piccole cittadine di provincia).

Ciò avviene, alla base di tutto, attraverso la possibilità per i cittadini di “fare comunità”; di rafforzare i legami di prossimità, e di recuperare la dimensione di convivialità delle interrelazioni sociali tra abitanti della stessa area territoriale, ricreando in questo modo la modalità di solidarietà determinante per un buon livello di soddisfacimento dei bisogni sul territorio.

In questo modo, sostanzialmente, si ripristina la dimensione di dialogo tra gli abitanti del quartiere che si è perduta con la sparizione degli spazi pubblici come “la piazza” ed il mercato (tipo di spesa che è sostituito in gran parte dalle visite settimanali agli ipermercati).

Con il nuovo approccio si crea una dimensione che permette di ricostruire l’identità locale ed il senso di appartenenza al Quartiere (ossia permette di recuperare il legame con il luogo e con i concittadini del luogo).

In tal modo si migliora l’integrazione degli abitanti storici con i nuovi venuti: si crea cioè una situazione nella quale, tra le altre cose, gli abitanti “storici” del quartiere (gli anziani) possono venire a contatto con i nuovi venuti (gli anziani oggi sono relegati in casa mentre nei piccoli paesi di provincia essi hanno ancora una presenza costante nei luoghi pubblici), favorendo l’integrazione di questi ultimi (oggi in Torino stanno sparendo anche i giochi da bocce sparsi nel quartiere).

Così facendo si è in grado di fermare il degrado dei quartieri migliorandone non solo l’aspetto, ma anche le qualità sostanziali come la sicurezza ed i servizi per i cittadini (sia grazie a servizi dal basso, creati dai cittadini che si riuniscono in associazioni e cooperative; sia grazie all’atteggiamento spontaneo di solidarietà che nasce, appunto, quando esiste una comunità basata su interrelazioni umane più profonde di quelle attuali).

Gli spazi creati con il Placemaking sono sia spazi di incontro, sia spazi dedicati a servizi sviluppati in varie forme di imprenditorialità sociale in modalità sussidiata (ad esempio iniziative di doposcuola per corsi integrativi per bambini che “non ce la fanno”).

Si sottolinea come la nuova dimensione di comunità produca forme di solidarietà organizzata, di volontariato che un tempo erano alla base di molti aspetti del soddisfacimento dei bisogni più critici sul territorio, e che oggi non riescono ad essere soddisfatti dalla Pubblica amministrazione: si pensi ad esempio ai servizi per gli anziani che avrebbero bisogno di chi facesse commissioni per loro.

Su tale linea si possono anche sviluppare modalità di adozione di parti del territorio oggi curate dalla PA. E’ cioè possibile creare di gruppi di lavoro e di associazioni locali con le quali i cittadini possono gestire, ad esempio, alcune aree verdi e spazi pubblici del vicinato (è possibile in questo modo ad esempio non solo curare parchi o giardini, ma anche le piccole aree verdi distribuite nel quartiere nelle quali i cittadini possono bagnare le piante oggi in difficoltà a causa dei frequenti periodi di siccità; ma anche seminare fiori, ecc …).

Si tenga conto che l’attivazione di tali “servizi dal basso” permette anche la riduzione delle imposte comunali.

Si noti uno dei fattori fondamentali dell’essere comunità dei piccoli paesi di provincia che manca totalmente nelle città: le bacheche nelle quali sono affissi gli avvisi mortuari.

Decentramento dell’amministrazione e interventi “dal basso” in modalità sussidiata

Il processo qui descritto è sostanzialmente una forma di decentramento amministrativo (dei servizi) e del government, poiché in tal modo, di fatto, si porta (in parte) il livello decisionale (e di conseguenza una parte dell’amministrazione) a livello di quartiere.

Si tratta cioè di un processo nel quale

l’istituzione di governo centrale (il Comune)
cede una parte dei suoi poteri, delle sua competenze
sia ● dal punto di vista della decisioni relative alle spese,
sia ● delle decisioni progettuali.

Più nello specifico nella reale forma di partecipazione qui descritta (definita in Iniziativa Riforma dal Basso) vi sonno due tipi di cessione del potere (parziale) da parte delle Istituzioni, nelle aree delle:

  • decisioni di spesa: i cittadini dispongono di una certa somma che essi possono spendere per iniziative attivate da loro stessi nell’area del loro quartiere.

  • competenze progettuali: i cittadini hanno la possibilità di co-progettare iniziative locali; ma anche di esprimere la propria volontà rispetto a progetti sviluppati dal comune.

● decentramento: decisioni di spesa

La spesa possibile per i cittadini è di due tipi:

  • un budget pre-definito (che deriva da una attribuzione al quartiere di spese in precedenza gestite dalla amministrazione centrale).

  • un “budget virtuoso” che consiste nei risparmi (una parte) realizzati con forme di soddisfazione di bisogni sociali create e gestite in modo diretto dai cittadini sul territorio (ad esempio per la cura del verde: se i cittadini, organizzandosi in forme di associazionismo sociale, prendono in mano la cura del verde, e – migliorando la qualità del servizio – sono anche in grado di risparmiare rispetto agli interventi in precedenza effettuati dalla PA, essi possono utilizzare parte del denaro così risparmiato per “investirlo” in altri loro progetti).

In tale modalità i risparmi avvengono anche grazie a forme di volontarismo, come lavoro gratuito (anche da parte di professionisti qualificati), cessione di materiali a prezzo di costo, ecc … Si tenga conto che molte attività di questo tipo sono organizzate come attività conviviali di corvée (la cura del parco può avvenire, ad esempio, le domeniche, con l’organizzazione di banchetti nel parco, ecc …).

Ma in questa modalità possono anche essere praticate collette per finanziare le iniziative (le collette sono un esempio di tasse nelle concezione tradizionale: raccolte di denaro volontarie per la creazione di servizi per la comunità).

Queste forme di gestione della spesa permette appunto un miglioramento della qualità dei servizi sul territorio, unitamente alla possibilità di ridurre le imposte locali.

● decentramento: competenze progettuali (e “legislative”)

Le persone che detengono i bisogni da soddisfare sul territorio sono anche coloro le quali meglio sanno indicare cosa sia necessario fare per soddisfare tali bisogni.

(si tenga conto che spesso le competenze professionali disponibili nell’area sono sufficienti a supportare progetti di elevata qualità; e qualora tali competenze non fossero sufficienti, è possibile per i cittadini procurarsele all’esterno in modo più efficace di come oggi avviene per le PA, prigioniere delle loro “regole non scritte” – si tenga conto che più Quartieri possono collaborare per quanto riguarda alcuni aspetti della progettazione delle soluzioni locali, e quindi dividere competenze e spese di progetto).

Nel processo di decentramento amministrativo qui descritto i cittadini divengono quindi coloro i quali progettano (e gestiscono) alcuni tipi di servizi ed infrastrutture del quartiere in vede delle PA.

Si noti che questa forma di Progettazione partecipata produce anche una sostanziale innovazione del sistema-città: porta allo sviluppo di nuovi modelli di attività sul territorio, nuove tipologie di servizio e nuovi modelli di gestione della “cosa pubblica”.

Si noti che nella modalità qui descritta di decentramento del sistema locale di Government/Amministrazione, la cittadinanza assume in sé anche competenze legislative.

(ossia la cittadinanza acquista un certo livello di autonomia politica, seppur piuttosto limitata – assumono cioè parte del Potere legislativo locale, che prevede la possibilità di “legiferare su argomenti di interesse locale”, “ produrre leggi supplementari a quelle” comunali, “istituire e riscuotere i tributi di loro competenza”).

Ciò può avvenire per alcune forme di regolamentazione nelle quali l‘interesse locale può prevalere sull’interesse della Città in generale. Sopratutto, probabilmente, ciò può avvenire attraverso limitazioni delle regole più generali definite a livello istituzionale.

Un esempio di potere decisionale decentralizzato è, appunto, la possibilità di chiudere al traffico vie non di interesse generale della città per farne spazi di pubblica utilità.

Ma un caso equivalente potrebbe essere quello dell’applicazione del piano regolatore: ad esempio i cittadini potrebbero interferire con la costruzione di un edificio in regola con le regole cittadine, ma che porterebbe ombra ad un importante spazio verde del Quartiere. In questo caso i cittadini potrebbero costringere il costruttore ad adeguarsi a regole più limitanti). Si può qui parlare di Piano regolatore decentrato (e, in qualche modo, di Piano regolatore partecipato).

Si noti che questo limitato potere legislativo può essere dalle istituzioni, ma può anche essere esercitato in modo non-istituzionale dai cittadini. Ovvero i cittadini possono trovare accordi per regolare delle aree del loro Quartiere, a prescindere da una effettiva delega dei poteri concessa dalle Istituzioni (es.: dal Comune).

Ciò può avvenire nello sviluppo del citato Placemaking: i cittadini che accedono a certi spazi possono aderire contrattualmente a regolamenti specifici da essi definiti(che limitano i regolamenti comunali – può trattarsi di orari e modalità di utilizzo, ecc..).

l’importanza di riportare il livello locale alla dimensione del quartiere

E’ necessario considerare che

il livello di quartiere è l’unico nel quale
sia possibile sviluppare
una reale modalità di partecipazione.

Qualsiasi altro livello superiore (ad esempio quello della Circoscrizione) comprende un’area troppo vasta perché si possano avere i fattori della reale partecipazione, tra i quali la possibilità di vivere in prima persona le questioni da affrontare, l’opportunità di discutere quotidianamente con cittadini di tali questioni, la possibilità di raggiungere gli spazi istituzionali a piedi (qualità legate, appunto, alla dimensione del quartiere).

La Circoscrizione appartiene già, ad esempio, ad una dimensione superiore a quella nella quale è possibile applicare forme di government partecipato (da questo punto di vista essa appartiene già alla dimensione del Comune, nella quale è unicamente possibile avere una forma rappresentativa di government).

Nel caso della Circoscrizione si perde infatti l’interesse specifico per molti problemi del territorio affrontati in tale sede (spesso le questioni affrontate sono ubicate al di fuori dell’area di frequentazione dei cittadini).

E diviene, a questo livello, un problema la partecipazione ai meeting o organi istituzionali. E’ infatti per molti cittadini difficile partecipare a tali appuntamenti che trovano luogo lontano da casa (per raggiungerli è necessario prendere i mezzi pubblici, e spesso le riunioni finiscono tardi la sera – o è necessario prendere l’auto con grandi problemi con i parcheggi).

Ed inoltre tali assemblee divengono assai noiose (dispersive) poiché in esse per la maggior parte del tempo il cittadino sente parlare di problemi che proprio non lo interessano, poiché riguardano questioni ubicate in aree esterne a quelle in cui esso vive – tale contesto è estremamente dispersivo, ed è difficile per le persone focalizzare la propria attenzione sui problemi che si vogliono risolvere.

In ultima analisi, laddove è necessario ricorrere ad assemblee rappresentative non è possibile avere una reale Democrazia partecipata poiché

l’assemblea rappresentativa è
l’antitesi della partecipazione diretta dei cittadini.

L’area nella quale è possibile avere una reale partecipazione è cioè quella “a misura d’uomo” che è definita da tradizioni millenarie, la quale ha caratterizzato per millenni le dimensioni dei “paesini”, e che poi, nelle città, ha caratterizzato (fino alla “rivoluzione” delle Circoscrizioni) il territorio “della parrocchia”, delle scuole elementari, e del mercato rionale (territorio poi identificato con il termine “laico” di Quartiere).

Per questa ragione, se si vuole riformare l’attuale Democrazia riportandola ad una reale dimensione partecipativa, non si può quindi prescindere da un recupero della dimensione “politica” del Quartiere (anche come forma di decentralizzazione delle Circoscrizioni).

Una riflessione sui vantaggi del decentramento delle decisioni di spesa

Uno dei vantaggi del portare parte dell’amministrazione a livello di quartiere è che in questo modo si possono avere (1) interventi molto più efficaci – poiché, ad esempio, potendo gestire buchi nelle strade nei marciapiedi in modo diretto i cittadini possono intervenire molto più tempestivamente della PA (ed inoltre è possibile intervenire laddove l’amministrazione centralizzata non è prorpio in grado di intervenire).

Ma questo tipo di amministrazione partecipata (in qualche modo diretta) (2) permette anche di contenere, di molto, le spese poiché in tal modo i cittadini hanno un controllo diretto del processo di intervento (si pensi anche alle spese più frequenti di manutenzione del territorio).

Ricordiamo che i cittadini nel sistema qui descritto dispongono di un budget limitato, ed in ogni caso sono incentivati a risparmiare poiché il denaro risparmiato sulla manutenzione del territorio (rispetto a quello che sarebbe speso dalla PA) può essere – in parte – utilizzato da essi per effettuare interventi “costruttivi” (come quelli intrapresi con il Placemaking).

Ovvero in questa dimensione si spende solo che ciò che strettamente necessario (e si hanno risultati superiori a quelli ottenuti con la modalità di spesa attuale).

Si noti che si tratta di una modalità di incentivi “passiva”: non viene elargito del denaro a priori, ma viene data una parte del denaro risparmiato al responsabile del risparmio che porta ad una responsabilizzazione dei cittadini.

In tal modo si sviluppa cioè un sistema virtuoso di spese nel quale i cittadini controllano direttamente il processo dalla scelta di quale lavoro effettuare (e verificano l’effettiva necessità di effettuare il lavoro), all’assegnazione del lavoro, all’evoluzione degli interventi.

L’efficienza del sistema dipende dal fatto che in questo caso i cittadini seguono l’evoluzione dei lavori legati alla specifica spesa, e che quindi capiscono dove il fornitore è manchevole, dove si sono utilizzati materiali sbagliati, dove i costi sono eccessivi, eccetera eccetera.

Uno dei tanti vantaggi di questo sistema di Lavori pubblici partecipato, è che in questo caso è possibile avere un Albo delle imprese co-gestito dai cittadini il quale rivela, tra le altre cose, la corretta reputazione di ogni impresa. In questo caso si ha una sorta di “Autorità partecipata per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture” che funziona molto meglio di un osservatorio istituzionale.

La virtuosità di questo sistema di spesa deriva anche dal fatto che in esso emerge il volontariato, poiché in tal caso i cittadini, essendo responsabilizzati rispetto alle spese, possono decidere di intervenire direttamente sul territorio.

Si noti che molti cittadini sono anche professionisti qualificati per le mansioni che devono essere utilizzate in tale tipo di lavori.

Ed in ogni caso si può benissimo creare un sistema di certificazioni “soft” per cittadini che vogliano intervenire direttamente, ad esempio, per chiudere buchi sui marciapiedi, riparare elementi di un giardino pubblico, ecc … (si tenga conto che oggi i cittadini sono obbligati – per legge – a rimuovere il ghiaccio dai marciapiedi che confinano con l’abitazione, operazione decisamente più critica rispetto a quella di chiudere un buco).

Il recupero del Volontarismo è un fattore determinante per il miglioramento degli interventi sul territorio (prestazioni gratuite, forniture di materiali a prezzo di costo, ecc…) poiché con esso si recuperano forme di convivenza tradizionali che aumentano il senso di appartenenza al luogo, e quindi il senso di responsabilità nei confronti del bene pubblico. Sostanzialmente in tale modalità si modifica radicalmente lo scenario del quartiere, e si recupera la …. modalità della attività conviviali (ad esempio, le domeniche, manutenzione del parco con l’organizzazione di banchetti, ecc …).

Un altro aspetto di questa modalità di spesa (lavori di manutenzione sul territorio) .. è quella di trasformare radicalmente (per certi aspetti) il concetto delle tasse.

In questa modalità di “lavori pubblici” si introduce infatti la good pratice della colletta, che è un significativo esempio di tassa nelle concezione tradizionale (ovvero di “tassa volontaria”): raccolta di denaro volontaria per finanziare la creazione di servizi per la comunità (in linguaggio politico, in tal modo si introduce l’importante caratteristica di option-out rispetto ad una spesa).

Un nuovo approccio per innovazione di PA e per Smart Cities (proposal)

Un nuovo approccio per innovazione di PA e per Smart Cities (proposal)

( post originariamente pubblicato sul sito “Luca Bottazzi Consulting” – vedi )

Un approccio peculiare

Offro un approccio peculiare, radicalmente innovativo che ribalta l’attuale paradigma di ● innovazione del sistema democratico (riforma sostanziale della Democrazia di matrice europea), e ● dell’innovazione “tecnologica” del cosiddetto filone Smart Cities.

[ si veda “Uno smart-approach per le Smart Cities: un nuovo percorso di innovazione della la Città (brochure)”]

Nel nuovo approccio si parte dal presupposto che oggi, nel voler riformare la Democrazia europea (e nell’innovare la Città), si elude il problema nella sua essenza: innovare, o riformare, significa sostanzialmente migliorare la qualità della vita delle persone. Oggi si parla cioè di soluzioni di processi di governance o di Smart Cities senza però centrare il problema, poiché si rimane ancorati a forma mentis ed “Interessi” classici della Politica dei partiti, e del cosiddetto Crony capitalism (quella parte del Mercato slegata dai canoni tradizionali di Domanda/Offerta).

Per questa ragione si propone un approccio radicalmente nuovo, nel quale si ribalta il paradigma attuale: si arriva a definire soluzioni tecnologiche e nuovi processi di governance partendo dalle necessità reali delle persone (ed in modalità democratica, ovvero sempre con processi partecipati dai cittadini, dagli utenti delle soluzioni).

intro …

Il problema:

Più nello specifico, guardando alle esperienze degli ultimi 30 anni (che ho potuto vivere in prima persona), oggi ci si basa su una falsa concezione di progresso e di progettazione.

Ovvero il fine della progettazione delle Smart City (ma anche dell’innovazione delle PA) non può che essere la soddisfazione dei bisogni dei cittadini1.
Mentre fino ad oggi il fine è la soddisfazione di altri interessi.

Non si vuole qui sollevare una questione morale (per quanto, forse sarebbe il caso di farlo): si tratta di una questione di tipo funzionale.

Con la modalità attuale si mancano infatti completamente gli obiettivi di creare nuove funzionalità smart all’interno della città.

(o forse si centra il bersaglio, se questo è l’elargizione di fondi ad una parte del Mercato che “scommette” su “sfide” che appartengono quella categoria dei porgetti “futuribili” che, dopo anni di ricerca e sperimentazioni in “Progetti pilota”, si rivelano obsoleti già prima di essere implementati in modo regolare) .

Si deve tener conto che uno dei danni collaterali di uno sviluppo errato dell’innovazione delle PA (e della progettazione di soluzioni per le Smart Cities) è una perdita del consenso politico Oggi ciò è vero, molto più di pochi anni or sono, poiché le necessità di innovare i processi è attualmente più sentita dai cittadini (sia per la loro inefficacia, che per la loro insostenibilità economica che produce tasse sempre più alte).

La soluzione è piuttosto semplice (per lo meno nelle linee generali), ed a portata di mano: si tratta di

1) sviluppare un approccio improntato sui crismi della reale progettualità:

● si sviluppa una progettazione in quanto focalizzata primariamente sulla “domanda”, ossia sulla soddisfazione dei bisogni degli utenti (i cittadini). Un approccio nel quale

le soluzioni vengono sviluppate “sul campo” – non più “a tavolino”.

In altre parole, trattandosi di una innovazione istituzionale (di settori in ogni caso di pertinenza della PA), l’innovazione non può non essere sviluppata in modalità partecipata.

Questa è anche la modalità di sviluppo del progresso dell’uomo, che da millenni si svolge attraverso una innovazione basata su idee che vengono a persone che sono in primo luogo utenti (afflitti da un bisogno da soddisfare). Come si nota, questo non altro che il principio fondamentale delle Democrazia partecipata.

2) ● portare il focus sulle low-tech, ossia le tecnologie consumer acquistabili per pochi euro in qualsiasi negozio, le quali oggi sono molto più efficaci (e sostenibili) delle tecnologie hi-tech attualmente prese in considerazione per i progetti di innovazione della governance e della Pa. E delle Smart Cities.

Ciò significa utilizzare tecnologie di costi irrisori (rispetto a quelli attuali), e competenze diffuse sul territorio (praticamente anche a livello dell’uomo della strada).

Vedi ad esempio la possibilità di utilizzare terminali delle ricevitorie per Light Voting, e i black box dati dalle assicurazioni per avere un monitoring del traffico [idee che fanno parte di Smart Cities sviluppati dal sottoscritto].

E, più in generale, vedi la possibilità di sfruttare la diffusione degli SmartPhone in quanto infrastrutture Peer To Peer per molte soluzioni di pubblica utilità (vedi ad esempio la possibilità di creare reti di Wifi create dagli user che condividono il loro accesso con la cittadinanza).

● E se devono proprio essere sviluppate parti delle soluzioni (perché non ancora esistenti nel mercato consumer), allora si tratta di creare ad hoc comunità non-profit di sviluppatori Open Source (non solo Software, ma anche hardware, con la nuova metodologia del Makers).

Si noti che il nuovo approccio oltre ad essere in sé economico e sostenibile, permette anche, dal punto di vista della economia cittadina, la possibilità di sviluppare nuove realtà produttive locali di innovazione (con un miglioramento del “PIL cittadino”, dell’occupazione, ecc …), laddove con i progetti attuali di Innovazione delle PA e delle Smart Cities non si fa altro che cercare di mantenere in vita player dalla mentalità obsoleta (direttamente o indirettamente legato la mercato globale).

Ciò è possibile per il fatto che le soluzioni proposte nei miei progetti, facendo delle PA e dei player locali dei first mover – dotati quindi di un notevole competitivo sul mercato nazionale e globale, permette l’esportazione verso altre aree nazionali o globali soluzioni, competenze e componenti software ed hardware.

  1. (tra le altre cose permette di realizzare soluzioni … poechè queste divengono indipendenti ..

  2. E ci rende indipendenti dai finanziamenti pubblici ..

Le soluzioni sono, tra le altre, delle tipologie ● Smart Governance (Rappresentanza 2.0, Open Government Platform, Circoscrizione 2.0, Lite Voting, ecc…) ● Smart Business/Smart Consumption ● Eco-solutions e Smart housing ● Smart Manufacturing [sono illustrate nei vari documenti scaricabili dal sito lucabottazzi.com; vedi le raccolte “Smart approach 4 Smart Cities” e “Iniziativa riforma dal Basso”]

i problemi riscontrati dalle stesse istituzioni

( Assessora pisano )

da Torino 4.0 slides

In base ai problemi attualmente rilevati dalle PA stesse2 si delineano possibili strade di soluzione, laddove oggi sembra non esserci consapevolezza della reale essenza dei problemi, e quindi ci si orienta verso modalità di sviluppo di soluzioni obsolete, le quali sono proprio quelle che hanno creato i problemi che si vogliono risolvere.

Alcune richieste alla Pubblica Amministrazione da parte delle istituzioni statali sono [i punti qui sviluppati sono citazioni dell’Assessora Pisano]:

necessità di diminuire i costi (anche del 50% – soprattutto per l’informatica).

La questione è appunto di utilizzare tecnologie low-tech in modo smart; ed utilizzare freeware, e comunità di sviluppo Open Source (e comunità di Makers).

aumento della produttività delle PA.

Qui il termine è fuorviante: non si tratta tanto di “produttività”, ma piuttosto di efficacia. Cioè si tratta di sviluppare processi che risolvano veramente i problemi dei cittadini.

I tre punti successivi appartengono in realtà allo stesso problema:

le tecnologie attualmente in uso sono a fine ciclo (“c’è il problema che cambiano le leggi e bisogna adeguarsi spendendo molti soldi”) [vedi punto successivo]

rispondere ai nuovi bisogni: qui, più che in altri punti, è necessario cambiare il paradigma, ossia passare ad una progettazione che sia realmente orientata alla soddisfazione di una reale domanda.

I nuovi bisogni hanno due caratteristiche: sono spesso occulti (manca una piena consapevolezza delle caratteristiche specifiche di tali bisogni), e sono in divenire (sono attualmente nelle prime fasi di manifestazione, e quindi non sono individuabili in modo compiuto: sono un moving target).

Per queste ragioni è necessario passare ad un approccio nel quale si sviluppano applicazioni “in progress”: rilasciate in una versione “beta” (o versione 0.9) che è comunque già utilizzabile (soddisfa già bisongi reale, in modo facilmente utilizzabile dall’utente). Modalità che permette di avere un feedback – in tempo reale – dall’utenza indispensabile per mettere a punto le soluzioni. Le quali, appunto, possono essere modificate quasi in tempo reale per coprire le carenze emerse nell’utilizzo reale.

In altre parole in un mondo in continua evoluzione non è più possibile basarsi sulle mega-soluzioni attuali, ma le soluzioni devono essere in progress, di graduale implementazione (aperte a cambiamenti, anche significativi), in grado di fornire il corretto feedback, ecc ..

L’effettiva flessibilità delle soluzioni è possibile, ad esempio, utilizzando le tecnologie consumer, ossia i devices degli utenti organizzati in Social cloud: gli aggiornamenti hardware e software sono effettuati (spontaneamente) dagli utenti stessi.

Inoltre ciò si ottiene utilizzando tecnologie “open”, come Open Office (LibreOffice) per il software (vedi il caso della transizione spontanea, indolore per gli utenti tra Open Office e Libre Office che si è avuta quando il primo è diventato obsoleto).

  1. Lo stesso nello .. separnao din componenti .. oggi con le tencologie manufactoring 2.0 .. si possono ..

  2. non più dire « si implementa qulcoa che funziona subito » .. ma creare ..un .. open, in rpogress che psosa partire dalla versio o. qualcosa in poi .. (mantenendo compatibilità retroattiva) ..

richiesta di time to market ridotto

Il fatto di creare soluzioni in progress significa quindi rispondere ad una delle richieste più importanti alla PA: in tale modalità si annullano le attuali fasi di “sperimentazione”, ricerca, progetto pilota poiché si passa immediatamente a soluzioni funzionanti (che di per sé rappresentano comunque anche sperimentazione, ricerca).

Il problema è che oggi si continua a parlare del futuro, quando è necessario cominciare a parlare del presente (si continuano a concepire progetti nella dimensione futuribile, che in realtà, oggi come oggi, per mancanza di finanziamenti, non possono più essere realizzati).

Ricondurre tutto al presente (all’immediato) è appunto possibile, come si è detto, con scelte di tecnologie consumer, creando soluzioni in progress co-sviluppate con comunità “social”).

E’ importante considerare che da questo punto di vista non si tratta quindi più di cercare partner tecnologici, per almeno due motivi:

le tecnologie di base non devono più essere prodotte ad hoc, ma si trovano nei negozi

gli unici partner possibili sono i cittadini (gli utenti delle soluzioni); quindi ciò che serve oggi è un engagement dei cittadini (dando ad essi la possibilità di organizzarsi in forme di co-progettazione). Gli eventuali partner si cercano in una fase successiva, con la collaborazione di cittadini (in questo modo si favorisce, tra le altre cose, l’economica locale).

  1. La sperimentazione, certo, vi deve essere, ma non nelle singole soluzioni .. che sono .. sperimentazioni a vita .. correggibile con il . tentativo e correzione degli errori .. una messa a punto continua .. ma sul metodo di ..

  2. empowering ..

  3. NO creare soluzioni di “immediata trasportabilità nel mondo reale” .. sono falsi obiettivi .

  4. Si tratta appunto di abbandonare … l’approccio .. crony .. che è teso .. Non è teoria, ma è semplicemte … Si tratta di fornire, ● dall’immediato ● servizi realmente utili (usabili, che riovano veramente problemi)

  5. « sviluppare un comune più efficiente »

gli strumenti specifici utilizzati dalle PA sono poco integrati tra loro

  1. sono progettati per funzioni ..

Ciò avviene per il fatto che tali sistemi sono progettati da tecnici e non da veri progettisti di soluzioni (è come se si facesse progettare il prorpio appartamento ad un ingegnere e non ad un architetto).

Si noti che in realtà l’approccio all’innovazione di soluzioni in qualche modo legate ai servizi pubblici (in una dimensione di Democrazia partecipata diretta) è sempre in qualche modo una forma co-progettazione.

Ricordiamo inoltre che il progresso dell’umanità, in ogni suo aspetto, è sempre avvenuto attraverso una “progettazione dal basso” (che è l’unica forma di progettazione in grado di centrare veramente l’obiettivo della soddisfazione di reali degli utenti, e che si rivela nel tempo essere realmente sostenibile).

Questa partecipazione si ha, appunto:

– a livello dei cittadini (come detto in precedenza); ma anche

a livello degli operatori delle PA (le cose cambiano poco, sia a livello concettuale, sia a livello di strumenti specifici).

Ovvero per poter innovare strumenti e processi interni alle PA, è necessario ripensare a fondo l’approccio progettuale: si affronta la questione apportando, a monte di tutto la responsabilizzazione degli operatori delle PA (che non significa minacciare sanzioni, ma soprattutto dare agli operatori la possibilità di co-progettare i processi in cui essi operano).

Il problema dell’integrazione dei processi si risolve in questo modo automaticamente, poiché gli operatori, messi in condizione di dialogare con operatori di altri settori della PA, sono spontaneamente portati a cercare di migliorare il loro lavoro integrandolo con quello di tali colleghi.

[vedi analisi e soluzioni (innovazione processi e strumenti) nel documento “Linee di Governance advising]

  1. .(ma sono i processi che osnon poco integrati, vedi caso amiata e cricolazione .. sezione mobilità e sezione servizi a cui appartene amiat)

● problema del Lock-In si risolve appunto sbloccando il Mercato nelle modalità sopra citate.


1 Spesso ci si dimentica che il fine delle attività delle PA è la soddisfazione di bisongi dei cittadini.

2 vedi relazione della Assessora Paola Pisano alla conferenza sulle Smart Cities al Real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri nel Marzo 2017