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    Lo statalismo non aiuterà il Ticino, la libertà sì

    9 years ago
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    Quella parte di Lombardia che si trova in territorio elvetico sta conoscendo (e certo conoscerà anche nel prossimo futuro) una fase non semplice. In primo luogo, si deve fare i conti con il franco forte o, meglio, con le conseguenze della decisione di mantenere per anni un cambio artificioso tra euro e franco: non inferiore al rapporto 1,20. Nel momento in cui la banca centrale ha dovuto arrendersi ai mercati e alla realtà, alcune imprese si sono trovate a fare i conti con una situazione nuova, dal momento che avevano orientato le proprie attività sulla base di un’informazione distorta. Ora ci vorrà tempo perché lavoro e capitali si dirigano dove sono più produttivi.

    Per giunta, altre nubi sono all’orizzonte a seguito della sciagurata decisione di abbandonare il segreto bancario.

    Il rischio è che questo comprometta alcuni pilastri dell’ordinamento giuridico e dell’economia del Ticino. In particolare, è facile prevedere che cresca il consenso a politiche di chiusura. È sempre più forte ad esempio il sostegno alla tesi che per affrontare il problema dei 10 mila disoccupati basterebbe sbarrare la strada a una parte dei 60 mila frontalieri e il problema sarebbe risolto. Ovviamente non è così, ma i demagoghi che sostengono tutto questo trovano oggi un terreno più fertile.

    Sta anche prendendo strada l’idea che le nuove imprese che arrivano in Ticino debbano essere obbligate ad assumere almeno una quota di lavoratori locali: una regola che, se adottata, scoraggerà talune imprese a spostarsi nel cantone. E poi si parla di salari minimi, contratti collettivi e altre soluzioni dirigistiche, che non favoriscono certo la crescita.

    La Svizzera è diventata un modello perché, grazie alla competizione istituzionale tra cantoni e anche tra comuni, ha tenuto un livello relativamente basso di pressione fiscale e interventismo statale. In un recente studio condotto da ImpresaLavoro su dieci Paesi europei, la Svizzera si è collocata al primo posto, come il Paese meno illiberale, e il suo successo dipende da questo. Se ora inizierà a intralciare la libera contrattazione tra imprese e lavoro, se minerà il diritto di proprietà (che è anche il diritto di un’azienda ad assumere chi vuole), se sposerà soluzioni autoritarie e populiste… non ne verrà nulla di buono.

    In questa congiuntura non facile, conseguenza di alcune scelte antiliberali compiute a Berna, sarebbe importante che i ticinesi si mostrassero saggi e prudenti. Sotto vari punti di vista la Svizzera resta un’isola felice, ma se sceglierà logiche nazionaliste e stataliste potrà trovarsi presto a fare i conti con difficoltà crescenti.