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    I presos politicos venezuelani | Gli occhi della guerra

    8 years ago

    “Chi commette crimini contro il popolo merita di essere punito. Quegli uomini sono in prigione per ragioni gravi e precise: non è questione di clemenza, è questione di giustizia”. All’indomani della sconfitta elettorale del 6 dicembre 2015, Nicolàs Maduro si è subito affrettato a mettere in chiaro una cosa: maggioranza o no, la liberazione dei “presos politicos” non sarà posta all’ordine del giorno – perlomeno, finché il suo governo continuerà a reggere. Sono trascorsi più di due mesi, eppure ancora oggi – nonostante l’opposizione stia lottando per far approvare una tanto annunciata Ley de amnistia – decine di dirigenti antichavisti seguitano a restare in galera.

    Il più celebre è Leopoldo Lopez, l’ex alcalde di Chacao, leader riconosciuto – e acclamato – della coalizione di centrodestra. La sua condanna risale al settembre 2015: 13 anni e 9 mesi di carcere, con l’accusa di aver fomentato le proteste popolari del 2014 – le cosiddette “guarimbas”. Con un’imputazione simile, circa un anno fa, è stato arrestato anche Antonio Ledezma, di origini italiane, che all’epoca era alcalde della città metropolitana di Caracas: “Lo hanno catturato mentre si trovava in ufficio, al suo posto di lavoro – racconta la moglie Mitzi -. Per lunghe ore non abbiamo saputo dove lo avessero portato, poi ci è stato dato l’indirizzo di una tremenda prigione militare, il Carcel de Ramo Verde. Ci è restato per vari mesi, finché, dopo un problema di salute ed una delicata operazione, gli sono stati concessi gli arresti domiciliari”.

    E poi c’è Manuel Rosales, lo sfidante di Hugo Chavez alle elezioni del 2006. Accusato d’illecito fiscale, ha dovuto abbandonare il Paese nel 2008. È rientrato pochi mesi fa, proprio prima delle consultazioni dell’8 dicembre, ed è stato immediatamente arrestato. “La giustizia venezuelana sta giocando con noi al gatto e al topo – dice la moglie Eveling, attuale sindaco di Maracaibo -. Le udienze per la scarcerazione dei prigionieri vengono ogni volta rinviate, nonostante le proteste degli avvocati.

    Maduro ha già dichiarato che non accetterà l’amnistia: “È bello parlare di libertà, ma nei fatti chi l’ha mai vista?”
    Sono trascorsi diciassette anni da quando – nel 1999 – Hugo Chavez venne eletto per la prima volta presidente del Venezuela, imprimendo al Paese una svolta epocale (culminata con la stesura della nuova costituzione “bolivariana”, tuttora in vigore). I suoi rapporti con l’opposizione sono sempre stati piuttosto conflittuali.

    Nell’aprile del 2002 “el compañero presidente” venne deposto per alcuni giorni da un golpe militare appoggiato dagli Stati Uniti d’America. Fu solo grazie alla mobilitazione massiccia di centinaia di migliaia di militanti che gli ufficiali insorgenti decisero di gettare la spugna e si rifugiarono all’estero. Da allora – a torto o a ragione – i leader chavisti hanno iniziato a maturare una spiccata fobia del complotto, la quale ha avuto ovviamente una forte ripercussione anche sui rapporti con i partiti avversari. Nel 2008, rivolgendosi a Manuel Rosales, Hugo Chavez pronunciò le seguenti parole: “Tu mi stai spiando, stai cospirando contro di me. Vedremo chi di noi saprà durare di più. Ti farò fuori dal panorama politico venezuelano! Sei un disgraziato, bandito, mafioso, corrotto e ladro!”

    Negli anni successivi – in seguito alla morte di Chavez e all’avvento di Nicolas Maduro – i rapporti tra governo e opposizione si sono fatti sempre più tesi. La forte crisi economica che sta mettendo in ginocchio il Paese – e la conseguente emorragia di voti sul fronte chavista – ha contribuito enormemente a esacerbare gli animi. Le vere ragioni del tracollo finanziario venezuelano, secondo la vulgata ufficiale, sarebbero riconducibili a un vero e proprio complotto messo in atto dalla Casa Bianca con la complicità dei partiti di centrodestra. È la cosiddetta “guerra economica”, che lo stesso Maduro, in una intervista del 2013, ha definito così: “Si tratta di un conflitto studiato a tavolino dagli strateghi di Washington. Alla Casa Bianca hanno pensato che fosse giunto il momento di sferrare l’attacco finale contro la rivoluzione bolivariana. Obama ne è stato informato? Questo non lo so. Se sì, molto male. Se no, ancora peggio, perché tutto ciò accadeva proprio sotto i suoi occhi”.

    L’opposizione ha vinto le ultime elezioni parlamentari di dicembre e gli spauracchi della guerra economica non sembrano più convincere il popolo venezuelano. Maduro e tutto il partito socialista di governo dovranno tenerne conto, così come dei rapporti con un’opposizione divenuta decisiva in parlamento e degli oppositori politici, in carcere, sempre più leader delle piazze insoddisfatte.

    About Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini

    Lorenzo Giroffi, classe 1986, si laurea prima in filosofia e poi in giornalismo. Vince il premio “Reporter contro l’usura” con l’inchiesta “L’ombra del denaro”, gli viene assegnato il premio internazionale di Giornalismo “Maria Grazia Cutuli” ed il Premio giornalistico Ivan Bonfanti. Realizza reportage sulle rivoluzioni in medioriente, sul difficile trapasso istituzionale in Kosovo e sulle frontiere di Siria, Iraq e Turchia. Da quest’ultimo realizza il documentario “Mi chiamo Kurdistan”, pubblicato dalla televisione svizzera RSI e dall’inglese Fair Obsever. Realizza reportage per diverse testate internazionali, tra cui Sky, RTL, Mediaset, l’Espresso, RSI, Rai e Rizzoli. Segue il conflitto nella regione ucraina del Donbass, editando il documentario “Fratello contro Fratello” per uno speciale del Tg2 Dossier. Per Rai 1 lavora allo speciale “Metropolitane”, che è il racconto di tre grandi città italiane. Di recente ha seguito le vicende della rivoluzione e del golpe in Burkina Faso, fino al mercato nero dell’oro e lo sfruttamento nelle miniere. Da quest’esperienza nasce “Burkina Faso: una transizione dorata”, andato in onda su Rai News 24. Ha pubblicato i libri “Visioni Meccaniche” per Con-fine edizione, “Il mio nome è Kurdistan” edito da Villaggio Maori e “Ucraina, la guerra che non c’è” scritto con Andrea Sceresini per “Baldini & Castoldi”. Andrea Sceresini (1983), giornalista freelance, è autore di molte inchieste e reportage di guerra per “La Stampa”, “Il Foglio”, “Il Fatto Quotidiano” e “l’Espresso”. Ha vinto il premio Igor Man per le corrispondenze dall’Ucraina. Per Chiarelettere ha curato il libro di Vittorio Dotti L’avvocato del diavolo. È anche autore, con Lorenzo Giroffi, di Ucraina. La guerra che non c’è e, con Maria Elena Scandaliato e Nicola Palma, di “Piazza Fontana, noi sapevamo” e “Il signor Billionaire”. Per Chiarelettere ha scritto con Danilo Pagliaro “Mai avere paura: vita di un legionario non pentito”.

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