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    Viaggio nella città più violenta del mondo | Gli occhi della guerra

    8 years ago

    Verso le sette di sera le strade iniziano a svuotarsi. In giro incontri solo qualche taxi, le sparute pattuglie della polizia e alcune camionette dell’esercito. Benvenuti a Caracas, la città più pericolosa del mondo (le recenti statistiche parlano di 120 omicidi ogni centomila abitanti, più che a Donetsk e Baghdad – la media mondiale è 6,2).

    Per farsi un’idea dell’ecatombe basta prendere un autobus, guadagnare le colline a sud della città e trascorrere una mattinata di fronte all’obitorio giudiziario di Bello Monte, dove ogni giorno vengono portati i morti ammazzati della notte precedente. La quotidiana sfilata di donne in lacrime, famiglie distrutte e orfanelli con lo sguardo perduto si esaurisce non prima di metà pomeriggio, quando – se tutto va bene – hanno finalmente termine le operazioni burocratiche di riconoscimento. Il grande spiazzo è perennemente ammorbato dal forte lezzo che proviene dai finestroni dell’edificio, reso ancor più insopportabile dal caldo da clima tropicale.

    Del resto le statistiche parlano chiaro: nel solo mese di gennaio sono state uccise in città 474 persone, 27 in più rispetto allo stesso mese del 2015. L’escalation di sangue affonda le proprie radici nella crescente crisi economica che sta devastando il Paese. Per i prossimi mesi, il Fondo Monetario Internazionale prevede un tasso d’inflazione del 720%.

    Le disastrose politiche messe in atto dal governo, gli alti livelli di corruzione pubblica e – soprattutto – il crollo del prezzo del petrolio (di cui il Venezuela è uno dei principali produttori al mondo) hanno fatto piombare l’economia nazionale in un baratro sempre più profondo. L’euro – che ufficialmente dovrebbe valere sette bolivar – viene ormai scambiato a quota mille.

    La moneta bolivariana è poco più che carta straccia: per fare la spesa bisogna portarsi appresso interi zaini colmi di banconote (il taglio più alto, quello da cento, equivale ai nostri dieci centesimi). La situazione è così drammatica che persino i falsari sono stati costretti a chiudere bottega, perché il valore effettivo della carta è ormai più alto rispetto a quello dei biglietti di banca che su di essa vengono stampati.

    In tali condizioni, buona parte della cittadinanza fatica a trovare di che sfamarsi. I negozi sono sprovvisti di tutto – dal dentifricio alle medicine, dal sapone per piatti al bagnoschiuma. Gli empori statali, dove i generi di prima necessità vengono messi in vendita a prezzi calmierati, sono presi d’assalto da torme di cittadini disperati, che fin dalla sera prima si mettono in fila di fronte ai cancelli, solo per poter acquistare qualche chilo di farina, del latte, le uova.

    Non c’è da stupirsi che in simili condizioni il mercato nero prosperi a dismisura, e con esso i cosiddetti “bachaqueros” – le “formichine”. Il loro business: rastrellare prodotti a basso costo per poi rivenderli a prezzo di mercato, ottenendo così un doppio lucro sulle spalle dei contribuenti. Una manovra sempre più fruttuosa, che ha permesso la proliferazione di un ampio ceto parassitario. Con l’aggravarsi della crisi si sono formate vere e proprie bande criminali, in perenne lotta per il controllo del territorio e dell’economia sommersa.

    Sempre più frequentemente, nei quartieri di periferia, scoppiano sanguinose battaglie di strada, combattute con fucili da guerra, kalshnikov e bombe a mano. Il crescente livello di corruzione dell’esercito bolivariano ha infatti permesso ai vari clan di accumulare autentici arsenali bellici, il cui utilizzo è ormai fuori controllo.

    “Le operazioni di pattugliamento sono sempre più difficili – dicono gli agenti di polizia dello Stato Miranda, competenti per lo slum di Petare -. Spesso le nostre squadre vengono attaccate in massa, anche alla luce del sole. I membri delle bande criminali sono ormai numerosissimi: fronteggiarli è quasi impossibile, specialmente sul loro territorio. Molti agenti muoiono in servizio. È un autentico circolo vizioso: il potere d’acquisto dello nostre paghe è sempre più basso, a causa della crisi economica. Perciò facciamo fatica ad arruolare nuove reclute. La nostra forza va scemando, mentre quella dell’avversario cresce costantemente, man mano che il Paese cola a picco. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Alcune zone della città sono letteralmente “off limits”: tornare a casa la sera è un’impresa sempre più ardua”.

     

    About Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini

    Lorenzo Giroffi, classe 1986, si laurea prima in filosofia e poi in giornalismo. Vince il premio “Reporter contro l’usura” con l’inchiesta “L’ombra del denaro”, gli viene assegnato il premio internazionale di Giornalismo “Maria Grazia Cutuli” ed il Premio giornalistico Ivan Bonfanti. Realizza reportage sulle rivoluzioni in medioriente, sul difficile trapasso istituzionale in Kosovo e sulle frontiere di Siria, Iraq e Turchia. Da quest’ultimo realizza il documentario “Mi chiamo Kurdistan”, pubblicato dalla televisione svizzera RSI e dall’inglese Fair Obsever. Realizza reportage per diverse testate internazionali, tra cui Sky, RTL, Mediaset, l’Espresso, RSI, Rai e Rizzoli. Segue il conflitto nella regione ucraina del Donbass, editando il documentario “Fratello contro Fratello” per uno speciale del Tg2 Dossier. Per Rai 1 lavora allo speciale “Metropolitane”, che è il racconto di tre grandi città italiane. Di recente ha seguito le vicende della rivoluzione e del golpe in Burkina Faso, fino al mercato nero dell’oro e lo sfruttamento nelle miniere. Da quest’esperienza nasce “Burkina Faso: una transizione dorata”, andato in onda su Rai News 24. Ha pubblicato i libri “Visioni Meccaniche” per Con-fine edizione, “Il mio nome è Kurdistan” edito da Villaggio Maori e “Ucraina, la guerra che non c’è” scritto con Andrea Sceresini per “Baldini & Castoldi”. Andrea Sceresini (1983), giornalista freelance, è autore di molte inchieste e reportage di guerra per “La Stampa”, “Il Foglio”, “Il Fatto Quotidiano” e “l’Espresso”. Ha vinto il premio Igor Man per le corrispondenze dall’Ucraina. Per Chiarelettere ha curato il libro di Vittorio Dotti L’avvocato del diavolo. È anche autore, con Lorenzo Giroffi, di Ucraina. La guerra che non c’è e, con Maria Elena Scandaliato e Nicola Palma, di “Piazza Fontana, noi sapevamo” e “Il signor Billionaire”. Per Chiarelettere ha scritto con Danilo Pagliaro “Mai avere paura: vita di un legionario non pentito”.

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