premessa: fallimento del Welfare attuale

Il Welfare del ‘900 è ufficialmente in grave crisi: si registra un fallimento economico del sistema e una scarsa della qualità dei servizi. Ovunque si parla di necessità di sostanziali riforme.

Ma laddove si effettuano riforme non solo non si riesce a migliorare la qualità dei servizi e il problema delle spese insostenibili, ma si creano condizioni sempre più disastrose (e di conseguenza vengono a mancare i soldi per sviluppare servizi di qualità).

Ovvero oggi, nello stato del Welfare, il benessere sembra essersi trasformato per sempre nel suo contrario: l’austerity.

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Ciò accade perché vi è un problema: a monte di tutto, una sorta di difetto di fabbrica del sistema del Welfare (così come è concepito oggi) che rende tale sistema intrinsecamente fallimentare, per cui quando si cercano di risolvere i problemi dello Stato sociale dall’interno del sistema stesso si producono inevitabilmente risultati fallimentari (si incorre in questo caso nell’ingenuo tentativo di risolvere i problemi con gli stessi principi che li hanno generati)

Una serie di equivoci a monte di ogni tentativo di riforma impedisce quindi di produrre riforme efficaci. A monte di tutto vi è l’equivoco a proposito del termine riforma: se in origine con tale termine riforma si intendeva una azione con la quale si cambia ciò che non funziona nel sistema (Treccani: “Modificazione sostanziale di … un’istituzione”), oggi, paradossalmente, con tale termine si indica una rafforzamento di tutti gli aspetti del sistema.

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Dal punto di vista operativo (se vogliamo, “politico”) le due strade possibili sono:

● continuare sulla strada praticata fino ad ora, ovvero continuando ad adottare il modello del Welfare come monopolio dello Stato (come si sta facendo ora), continuando a produrre risultati negativi (tale metodologia funzionava prima dell’avvento della crisi economica globale – che sembra  essere cronica – ma non può più funzionare oggi).

● considerare che il problema è intrinseco all’attuale modello di Welfare, e studiare come sia possibile adottare un nuovo modello che permetta finalmente, anche in una situazione di crisi finanziaria globale, di recuperare una buona qualità nelle forme di soddisfazione dei bisogni.

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A mio avviso si tratta di perseguire questa seconda strada. Ovvero si tratta di ridefinire, di

rifondare il Welfare secondo criteri di reale sostenibilità:
adottando, cioè, da un lato quei fattori di socialità  (fondamentalmente solidarietà spontanea)
che hanno caratterizzato molte società di un tempo (ed ancora oggi molte piccole Town nel mondo).
Aggiungendo a tale modalità di organizzazione della società gli strumenti che oggi il progresso tecnologico ci mette  a disposizione.

Quale è il problema del Welfare attuale?

Il loop critico nel quale è entrato nell’ultimo decennio il Welfare – circolo vizioso nel quale le riforme non sono più in grado di ristabilire una effettiva efficienza del sistema assistenziale – deve far riflettere sulla possibilità che il sistema del Welfare sia  minato alle fondamenta da alcuni “difetti di fabbrica”  a causa dei quali esso, nelle fasi storiche di crisi economica, non è più in grado di soddisfare le esigenze per le quali esso è nato.

(si tenga conto che l’attuale crisi economica secondo molti esperti non è destinata ad essere risolta nel breve periodo).

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In altre parole tale difetto di fabbrica porta il sistema sociale del Welfare, quando non vi siano più abbondanti risorse economiche da cui prelevare il necessario per il sostentamento del sistema dei servizi “gratuiti” (si parla della ricchezza delle persone dalle quali si preleva denaro sotto forma di tasse dirette o imposte sul consumo), ad un sempre più profondo fallimento finanziario e di efficienza.

Oggi diviene quindi un controsenso continuare a riformare un sistema sulla strada seguita fino ad oggi, poiché, appunto, in tal modo si interviene per risolvere i problemi con gli stessi principi e strumenti che li hanno prodotto. E non si fa che aggravare la crisi del sistema.

■ ALCUNI FATTORI DELLA CRISI DEL WELFARE

Per arrivare a definire una soluzione è ovviamente necessario individuare le cause degli attuali problemi del Welfare, che sono tra le altre, sia per quanto riguarda la qualità dei servizi che la spesa del Welfare:

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  •   mancanza di un reale controllo: quello del Welfare attuale è un sistema nel quale i controllati sono i controllori, che per tale ragione produce sia spese incontrollate, sia  incapacità di correggere le inefficienze.

  • deresponsabilizzazione ad ogni livello (sia degli operatori che degli utenti).  E’ un’altra causa delle spese eccessive e delle inefficienze del sistema: per lo scarso coinvolgimento etico e per lo scarso impegno professionale degli operatori. E per un eccessivo ricorso ai servizi da parte degli utenti (vedi il ricorrere al pronto soccorso per una influenza); e per una loro scarsa affezione nei confronti delle istituzioni.

  • incapacità di individuare i reali bisogni e incapacità di progettare servizi efficaci  a causa del fatto che le decisioni di tipo politico ed amministrativo sono prese ad un livello lontano dai Cittadini (con un sistema altamente burocratico), e sono quindi decisamente slegate dalle necessità di questi ultimi (in questo modo si ottiene un basso livello di qualità di servizi ed infrastrutture);

  • impossibilità di coprire gran parte dei bisogni “non-di-massa” a causa di un sistema sostanzialmente monopolistico che non permette di sviluppare “soluzioni creative”  (che rimane ancorato alla mentalità del “consumo di massa”).

■ I PROLBEMI DA AFFRONTARE (meta-problemi)

  1. – qui non si segue esattamente l’outline della sinossi poiché alucni punti sono splittati nel paragrafo precedente “fattori” –

Per poter analizzare in modo lucido il problema del Welfare è necessario, a monte di tutto, rendersi conto dell’esistenza di alcuni equivoci di fondo che inficiano le attuali analisi.

 EQUIVOCO: LA RIDUZIONE DEI BISOGNI SOCIALI AL PIANO ECONOMICO

Uno degli errori principali su cui fondano attualmente le analisi del Welfare è quello di non uscire dalla dimensione culturale che ha prodotto tale sistema.

Si consideri l’errore di fondo della nostra cultura: Welfare non significa affatto benessere – condizione che è indicata con la parola wellbeing – ma significa un qualcosa come “tariffe corrette”.

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Il problema è cioè che oggi si cerca di produrre benessere nella nostra società operando unicamente sul piano economico, riducendo la realtà in una modalità dalla quale sono esclusi una serie di fattori che sono stati fondamentali per la creazione di benessere nelle forme di società che ci hanno preceduto.

Ovvero tutto oggi viene ridotto a questioni basate su sul piano dell’Economia.

Ed in una dimensione nella quale si prendono in considerazione unicamente fattori di tipo economico si opera in una condizione di “coperta troppo corta”, nella quale le risorse disponibili non saranno  mai sufficienti a coprire il reale fabbisogno.

In altre parole con il modello attuale del Welfare inevitabilmente se si riduce la spesa si tolgono risorse per il sistema, cosa che produce un peggioramento della qualità dei servizi (non prevedendo il sistema, appunto, esso altri apporti che non siano economici). E, d’altro conto, se si aumenta la spesa si riduce il benessere reale delle persone poiché esse vedono diminuire i loro guadagni reali a causa dell’aumento delle tassazioni.

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Per effettuare una vera riforma del Welfare è quindi necessario adottare un modello differente da quello attuale. E’ cioè necessario a monte di tutto ripensare le modalità di vita all’interno delle città con l’introduzione di nuove “pratiche sociali” (come si indica in altri documenti), ad esempio con riappropriamento degli spazi della comunità locale (vedi Placemaking nei quartieri) che producono, tra le altre cose,  “tempo liberato” (grazie al fatto che diminuendo le tasse e altre “spese obbligatori” le persone possono permettersi di lavorare meno di oggi), e quindi nuove forme di solidarietà sociale, volontarismo, ecc ..

 L’EQUIVOCO SUL SIGNIFICATO DEL TERMINE RIFORMA

Uno degli equivoci fondamentali che oggi impedisce di effettuare delle efficaci riforme del Welfare è proprio quello relativo al termine riforma.

Il termine riforma significa infatti “modificazione sostanziale di (…) un’istituzione” (Treccani), mentre oggi, pretendendo di riformare il Sistema del Welfare non si effettuano che correzioni di esso. E come sempre quando si cerca di risolvere un problema con gli stessi principi e strumenti che lo hanno prodotto, non si è in grado di migliorare le cose.

 

Se si vuole effettivamente riformare il sistema del Welfare è quindi necessario, in momenti di crisi economica come quello attuale,  analizzare a monte il problema del Sistema del Welfare. E quindi ripartire dalle fondamenta, definendo un nuovo modello in cui in parte si recuperino elementi della società che hanno funzionato per millenni (prima della riduzione del sistema sociale ad una visione economicista) ed in parte nuove “good pratices” che portino, tra le altre cose, a nuove forme di solidarietà sociali istituzionalizzata  [vedi quanto illustrato nei documenti di Iniziativa Rifomra dal Basso”]

Quali sono quindi i problemi da affrontare?

( Quale può essere quindi una alterantiva .. ? )

In ultima analisi il problema è che sino ad oggi si è cercato di impiantare nella società un sistema “artificiale” che prescinde da una considerazione delle qualità e dei difetti dell’essere umano (ciò vale sia per i gestori del sistema, sia per gli utenti), ed in tale modo non si sono potute capitalizzare le qualità dell’uomo. Ovvero le strutture si qui create, non basandosi sulle qualità positive dell’uomo,  hanno finito per basarsi  sui difetti di esso: assenza di responsabilità; e quindi leggerezze ed incompetenze nell’assumere decisioni, incapacità di rilevare i veri bisogni da soddisfare, ecc..  ..

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( soluzione dei “fattori” )

Ora si tratta di correggere il sistema così strutturato intervenendo a monte, riportandolo ad una dimensione umana (che tenga appunto conto delle caratteristiche psico-sociali dell’uomo, e possa sfruttare al meglio le qualità dell’essere umano).

Riassumendo, i problemi sono causati dai seguenti fattori umani, sia da parte del personale operativo sia da parte degli utenti.

la de-responsabilizzazione sia  degli operatori, sia degli utenti.

impossibilità di un reale controllo della qualità dei servizi.

a monte di tutto, incapacità di individuare i reali bisogni  delle persone, e di progettare valide soluzioni.

ed inoltre, incapacità di andare oltre la forma mentis del consumo di massa, e quindi di sviluppare soluzioni per i bisogni di nicchia.

RESPONSABILIZZAZIONE

Il sistema del Welfare state induce nei cittadini l’idea di una entità che si occupa di esso dalla culla alla tomba.

Ciò produce una forte de-responsabilizzazione sia degli operatori: scarso coinvolgimento etico e per lo scarso impegno professionale. Sia degli utenti: vedi, ad esempio, un eccessivo ricorso ai servizi da parte degli utenti (come nel caso del frequente ricorso al pronto soccorso per una influenza)

Ciò diviene una delle cause delle spese eccessive e delle inefficienze del sistema.

 

Questo atteggiamento è aggravato dal fatto che il cittadino,  visti i risultati rispetto alla Qualità della sua vita, non ha più rispetto per le strutture pubbliche: in questo modo si perde il senso di responsabilità civica che è alla base di un Sistema democratico (si producono in questo modo da parte dei Cittadini  comportamenti “irresponsabili” nei confronti della società, che rappresentano un ulteriore costo per la cittadinanza – ed un ulteriore allontanamento delle persone rispetto alle questioni di government).

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( soluzione )

Si tratta quindi di essere in grado di sviluppare una responsabilizzazione del cittadini in primo luogo nei confronti della qualità della loro vita – creando le basi di un sistema virtuoso che induca spontaneamente i cittadini ad una propria responsabilizzazione.

Si noti che tale dimensione sociale è quella definita dalla UE già all’inizio degli anni ‘90 con la Direttiva sulla Sussidiarietà. La Sussidiarietà consiste proprio in una dimensione sociale nella quale i cittadini si organizzano “in proprio” (in associazioni che operano sul territorio in modalità supportate dalla PA) per soddisfare una gran parte dei bisogni che oggi sono soddisfatti dalla Stato sociale con il Welfare.  [vedi uno dei capitoli successivi]

CAPACITÀ DI CONTROLLO  DEI PROCESSI

Uno dei fattori che concorrono a creare l’attuale situazione di spese incontrollate e di inefficacia dei servizi è la mancanza di un reale controllo  dei processi di gestione del Welfare.

Tale assenza di un reale controllo (unitamente alla mancanza della possibilità di gratificazione nel vedere buoni risultati del proprio lavoro, stante la carenza delle strutture e delle metodologie applicate) produce, tra le altre cose, a livello degli operatori: de-responsabilizzazione, mancanza di impegno professionale e della possibilità di individuare modi per migliorare le cose. E quindi induce una selezione degli operatori (ad ogni livello di gerarchia) in base non a criteri di professionalità, ma a criteri di opportunità politica.

Ciò accade perché nel Welfare attuale i controllati sono i controllori.

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Chi può controllare meglio di ogni altra persona la qualità dei servizi pubblici se non gli utenti stessi di tali servizi?

Gli  utenti sono coloro che pagano per i servizi (sotto forma di imposte quando questi sono “gratuiti”), ed hanno quindi un forte interesse ad avere servizi efficaci con la spesa più bassa possibile.

Si tenga conto che i cittadini-utenti monitorano automaticamente i servizi durante la loro fruizione: si tratta quindi solo di dare ad essi strumenti per segnalare in modo compiuto ed organico i problemi che essi incontrano.

CAPACITÀ PROGETTUALE E DI GESTIONE

Uno dei problemi è quello della inefficienza delle strutture e  dei processi all’interno dei servizi erogati dalle PA. Questa situazione de-motiva gli operatori che sono oggi disillusi rispetto alla possibilità di migliorare le cose, e quindi finiscono per accettare la situazione di fatto senza più nemmeno pensare di intervenire su strutture e metodologie per migliorare le cose.

Questa situazione non può essere migliorata se non si cambia il modello che è alla base delle attuali strutture di servizi, riportando tali organizzazioni al livello delle attività “imprenditoriali” tradizionali, nelle quali vi sono responsabilità ad ogni livello.

Si noti, non si parla di responsabilità in negativo (per sanzionare le persone), ma si parla in primo luogo delle responsabilità per le quali una persona si sente spontaneamente investita che la motivano a migliorare i processi nei quali essa opera (creando contemporaneamente, per sè, una miglior qualità della vita sul lavoro).

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In ogni caso, trattandosi di servizi pubblici, ancora una volta gli utenti sono una risorsa di fondamentale importanza per la definizione processi realmente efficaci.

Opportuni strumenti di partecipazione permettono infatti ai cittadini-utenti non solo di segnalare i problemi, ma anche di suggerire (e co-progettare) nuove forme di servizi più efficaci e più economiche nella gestione.

Ovviamente tutto ciò può funzionare solo in uno scenario del Welfare profondamente modificato. Ovvero in un contesto nel quale i cittadini possano anche organizzarsi – in modalità di progettazione partecipata – per creare e gestire in prima persona servizi di loro interesse (come si vede in altro punto, si tratta di una forma di attività “privata” differente da quella “di Mercato”).

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In uno scenario di quel tipo si riducono anche notevolmente le spese, poiché in tal caso  il nuovo capitale consiste  nei Cittadini: nella loro capacità di analizzare i bisogni della Città e nella loro voglia di cambiare le cose.  [vedi  “Iniziativa riforma dal Basso”].

Naturalmente, per in questo caso serve una nuova Vision della città, e quindi una nuova concezione dei “servizi pubblici” [ vedi documento “Smart Cities”]

Già oggi vi sono molte iniziative dirette dei cittadini che sostituiscono i tradizionali servizi pubblici (tra gli altri: le Scuole parentali, Uber, i genitori che si organizzano per portare a turno i figli a scuola, ecc …).

INCAPACITÀ DI SODDISFARE BISOGNI SPECIFICI (DI NICCHIA)

Uno dei problemi del Welfare sviluppato sino ad oggi è che esso non è mai stato in grado di

1) creare forme di assistenza per “gli ultimi” (ad esempio per “i barboni”), categoria di persone per la quale si continua a ricorrere a forme di solidarietà tradizionale, esterne ed indipendenti rispetto alle PA: donazioni e volontariato (ciò vale anche per enti come la Croce Rossa).

2) di soddisfare esigenze di nicchia (i servizi del Welfare sono destinarti a rimanere servizi “di massa”, forma di mercato viene gradualmente sostituita nel mercato da servizi sempre più personalizzati  grazie alle tecnologie della comunicazione interattiva).

(già più di dieci anni or sono – quando non esistevano ancora gli Smartphone – in alcuni comuni dell’Emilia si era in grado di fornire percorsi personalizzati dei mezzi del trasporto pubblico; oggi è possibile facilmente utilizzare strumenti come Uber per creare trasporti di gruppi di persone a prezzi estremamente bassi).

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Il modo migliore per sviluppare queste iniziative di nicchia è la modalità di imprenditoria sociale (sussidiata) nella quale gli utenti sono anche creatori e gestori del servizio.

(solo in questa modalità si è in grado di individuare nelle loro sfumature i bisogni delle persone, e sfruttare la creatività di chi conosce a fondo il problema nel progettare soluzioni).

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Nella nuova modalità  si possono organizzare forme di assistenza in modalità di semi-volontariato (sussidiata) come servizi per gli anziani non più pienamente autonomi (è ad esempio possibile fare commissioni per essi). [vedi “Verso la Democrazia Diretta”]

Si tenga conto, che le nuove tipologie di servizi creati ed organizzati “dal basso” possono essere unicamente sviluppate in un nuovo scenario di vita urbana.  Vedi ad esempio più  avanti la questione del decentramento che porta ad una certa indipendenza dei quartieri grazie alla quale (vedi il caso del Placemaking) si creano nuovamente reali comunità all’interno della città, con le quali si recupera un senso di appartenenza al luogo, e forme di solidarietà sociale spontanea.

Un altro dei vantaggi di questa dimensione, è che in essa gran parte degli anziani, attualmente un peso per la società, divengono un importante capitale sociale (si pensi, ad esempio, agli insegnanti in pensione che possono rendersi utili per tenere lezioni ai bambini).

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<see my text “Solutions for Participated Government and Administration (Welfare 2.0)“>