Puntualmente i Movimenti outsider rispetto alla politica tradizionale hanno fallito le loro strategie per il fatto di non essersi resi conto di quanto il sistema della Politica dei partiti fosse incompatibile con i loro fini. E’ quindi importante fare chiarezza su questo punto.

Le politiche di movimenti assolutamente decisi a cambiare realmente le cose nella Democrazia italiana verso maggiori democraticità, giustizia, qualità dei servizi puntualmente falliscono per alcune ragioni mai sufficientemente chiarite.

Tra queste ragioni, la più importante probabilmente è

la mancanza di comprensione di
come lo sviluppo di percorsi di riforma
dell’attuale sistema di governance ed amministrazione
siano assolutamente incompatibili
con le modalità sviluppo della “Politica dei Partiti”

E’ quindi assolutamente necessario per partiti che si pongono come “alternativa” alla gioco della Politica dei Partiti (ossia che perseguano lo sviluppo di una Democrazia partecipata) comprendere che

l’attuale Politica dei Partiti e la Partecipazione democratica sono, appunto, due metodologie in conflitto tra loro, per cui
L’UNA ESCLUDE L’ALTRA.

In caso contrario si finisce inevitabilmente nell’incorrere nell’errore di pensare di poter pervenire ad un compromesso con la Politica dei Partiti (magari temporaneo. “strumentale”) senza rendersi conto che inserirsi nei binari della Politica tradizionale significa impostare le proprie metodologie operative su una strada che è incompatibile con quelle di un Movimento che mira al raggiungimento di una reale partecipazione nei processi di governance (ciò vale in particolar modo per i Movimenti outsider che nelle prime fasi di attività di potere istituzionale devono ancora mettere a punto le loro strutture e modalità operative relative al loro nuovo livello d’azione).

Come si vede più avanti, non si tratta di una “questione morale”, di un metafisico pericolo di vendere l’anima al diavolo.

Il problema è che si possono anche donare in beneficenza tutti i guadagni ottenuti con il nuovo ruolo; e si possono sviluppare inizialmente sviluppare ottime iniziative, ma senza aver basato tali azioni su strategie su un piano esterno a quello della Politica dei Partiti (sul piano di una reale partecipazione), presto si verranno a perdere i poteri conseguiti (a causa delle azioni di ostruzionismo dei “poteri forti”, e della perdita di consenso da parte dell’elettorato che non avendo seguito da vicino lo sviluppo di tali iniziative – per mancanza di una reale partecipazione democratica – non ha una corretta consapevolezza del valore di ciò che è stato fatto). E la Politica dei Partiti restaurerà lo status quo precedente, annullando ciò che di buono era stato fatto.

Inoltre su tale strada di compromesso, in mancanza di una dimensione di reale partecipazione dei cittadini sul territorio, seguendo le strategie tradizionali, il Movimento comincerà ad assumere le caratteristiche dei Partiti tradizionali: strutture e metodi saranno sempre più “burocratizzati”, e la gestione del movimento diventerà sempre più costosa (per cui si arriverà, ad esempio, a dover giustificare come necessarie le “spese eccessive” perché esse permetteranno al Movimento di sopravvivere).

Un movimento che voglia cambiare realmente le cose (verso una maggior democraticità del sistema di government, e di qualità e sostenibilità dei servizi della PA) deve quindi rendersi conto che se esso non imposta lo sviluppo di un percorso di cambiamento della governance – già dalle primissime fasi – al di fuori della Politica dei Partiti, quest’ultima finirà immancabilmente per:

ostacolare le azioni del Movimento fino ad estrometterlo, con escamotages di vario tipo, dalle posizioni istituzionali conseguite (e per restaurare lo status quo precedente)

assorbire alcune persone chiave di tale Movimento nel gioco della politica, neutralizzando, di fatto, il percorso di cambiamento che si aveva in proposito di effettuare.

La storia sembra aver ampiamente dimostrato come il fatto che Partiti e Movimenti arrivati a cariche istituzionali con il fermo proposito di cambiare le cose, commettendo l’errore di non intraprendere un percorso di sviluppo delle proprie strategie su un percorso esterno a quello della Politica dei Partiti, abbia puntualmente prodotto una loro normalizzazione, una neutralizzazione degli sforzi di cambiamento; ed abbia infine cancellato ciò che di buoni erano riusciti da sviluppare nel breve tempo del loro operato.

Come si è detto non si pone qui, a proposito dell’azione della Politica dei Partiti, un problema morale. Sarebbe probabilmente possibile farlo, ma in questa sede ci interessa vedere la cosa dal punto di vista funzionale. Ponendosi le domande: perché nei decenni le strategie di cambiamento le azioni dei Partiti o dei Movimenti outsider non hanno funzionato (perché non si è riusciti a cambiare assolutamente nulla)? E: come potrebbero invece avere successo tali tipologie di azione?

Si tratta quindi, sostanzialmente, di una questione funzionale: sviluppare strategie che in primo luogo siano in grado di neutralizzare i tentativi di normalizzazione , estromissione e restaurazione da parte dalla Politica dei Partiti. Ovvero

è necessario operare
su un terreno totalmente differente
da quello della attuale Politica.

E ciò va fatto dall’inizio della attività istituzionale del Movimento outsider.

I compromessi, ovviamente, sono sempre necessari. Ma non a costo di rinunciare ai propri Principi fondanti, poiché in tal caso si prende una direzione opposta a quella per la quale il Movimento è conosciuto (e per la quale il Movimento ha ottenuto il consenso elettorale).

i punti di conflitto

( qualità negative della politica dei partiti )

Il conflitto tra le Politiche di cambiamento (una sostanziale riforma del Sistema-democrazia italiano verso una reale partecipazione) e la Politica dei Partiti risiede, appunto, nella radicale incompatibilità delle caratteristiche di base della Politica tradizionale con un reale cambiamento.

Per comprendere come le persone che operano nella Politica tradizionale – per quanto essi possano essere onesti – siano ingabbiate in uno schema dal quale essi non possono uscire, è necessario comprendere che i politici tradizionali:

● sono politici “di professione”, e si tratta della loro prima ed unica “professione”, per cui per essi sarebbe impossibile trovare un lavoro diverso da quello: fuori da tale contesto essi non sarebbero in grado di mantenere la propria famiglia (e di sostenere le idee in cui credono fermamente, poiché le strutture della Politica dei Partiti necessitano di ingenti finanziamenti).

sono stati selezionati, negli anni, in base ad una meritocrazia al contrario”. Cosa che ha portato il gioco della Politica a perdere le persone più capaci: ora sono rimaste più che altro i migliori nel campo della demagogia, nel perseguire interessi di parte, nelle gestione .”allegra” del denaro pubblico (per poter finanziare il partito), a fare accordi “opportuni” con il Mercato, ecc …

vivono una vita distante dal mondo reale, e quindi – per quanto volenterosi ed onesti possano essere – essi sono intrinsecamente incapaci di comprendere i reali bisogni dei cittadini (cosa particolarmente vera oggi, in una realtà sociale in continua evoluzione, dove i reali bisogni delle persone non possono essere “studiati sui libri”, ma possono essere colti nella loro interezza solo da chi li vive direttamente, nella quotidianità). [vedi articolo “Un nuovo approccio per innovazione di PA e per Smart Cities (proposal)”]

Ciò vale, si noti, non solo per i Politici, ma anche per i funzionari della PA, che si sono diffusi con le stesse qualità nelle strutture amministrative. Per tale ragione anche la Pubblica amministrazione deve essere riportata ad una dimensione di partecipazione, nel più breve tempo possibile.

Queste qualità intrinseche al mondo della Politica quindi producono un conflitto fatale con i programmi di chi voglia realmente cambiare le cose. Per questo motivo solo operando da un contesto esterno a quello della Politica dei Partiti è possibile effettuare un effettivo e duraturo processo di cambiamento.

In ultima analisi va quindi preso in considerazione il perché la Politica dei partiti è, appunto, incompatibile con la Partecipazione democratica. Ovvero che:

1) il sistema attuale di governance – ora in mano alla Politica dei partiti – è un sistema blindato, che quindi non può essere cambiato sul suo interno, poiché in tale gioco tutte le forze politiche – anche apparentemente opposte – si coalizzano (fanno “inciuci”) tra loro per continuare a sviluppare tale sistema. E può quindi essere cambiato solo portando il gioco su un altro terreno (come quello delle Partecipazione democratica).

2) il sistema dei Partiti è in grado di neutralizzare qualsiasi tentativo di riforma sostanziale utilizzando i “Poteri forti” che esso ha sviluppato – in modo monopolistico – negli anni (Media, Magistratura, Burocrazia, ecc …)

Ovvero

il sistema della Politica dei Partiti può essere superato solo sul terreno della effettiva partecipazione democratica,

nel quale

i cittadini apportano al processo di cambiamento
una forza esterna dal peso determinante
(e dalla legittimità inoppugnabile).

La forza “di fatto” prodotta dalla partecipazione (effettiva) ai processi di governance da parte dei cittadini – come illustrato in altri articoli – deriva dal fatto che il sistema politico continua a dipendere dal consenso elettorale, e gli elettori coinvolti nei processi di governance divengono consapevoli dei problemi creati dalla Politica dei Partiti, e puniscono tali forze politiche alle successive elezioni.

Per questa ragione, per un movimento outsider, è necessario già nelle prima fasi di esercizio di attività istituzionali, dare la massima priorità allo sviluppo di un percorso esterno a quello della politica (allo sviluppo di strumenti e processi di partecipazione dei cittadini). E non cadere nell’illusione di poter produrre “subito” (quindi in modalità tradizionale, ossia dall’alto) delle “buone politiche”, poiché queste assumerebbero comunque – per quanto ottime nelle intenzioni – le qualità negative delle “politiche tradizionali”:

sono comunque slegate dalle reali esigenze dei cittadini, e quindi, per loro natura non in grado di cogliere le loro reali esigenze (il processo di soddisfazione delle esigenze oggi, in un mondo in rapida evoluzione, è un divenire fatto di tentativi-feedback-miglioramento delle misure prese, il quale, in assenza di strutture di governance partecipata, porta comunque ad una inefficacia delle iniziative intraprese dall’alto).

i cittadini non si immedesimano nelle iniziative prese dall’alto per le ragioni appena esposte; ma anche per il fatto che senza strutture di reale partecipazione sul territorio è impossibile effettuare una “comunicazione sostanziale” che permetta ai cittadini di .comprendere il valore di ciò che si sta facendo, e l’opposizione sviluppata da parte dei “poteri forti” ha buon gioco nello screditare il lavoro fatto: i cittadini finiscono così per percepire tali azioni come ulteriori atti di imperio “della politica”.

● Inoltre le buone azioni dall’alto (che cioè non sono basate su processi di funzionamento partecipati) finiscono per non funzionare nel medio-lungo periodo nonostante i buoni propositi iniziali (un fattore di tale fallimento consiste nel fatto che una iniziativa che non nasce da un progetto in qualche modo partecipato, non produce la qualità necessaria al buon funzionamento dei processi in una Democrazia: la responsabilizzazione dei cittadini rispetto al bene comune (ed alle regole).

Per tali ragioni, invece di cercare di correggere gli attuali problemi del territorio dall’alto (Politica dei Politici) è necessario come prima cosa attivare processi di partecipazione dai quali arrivino – al più presto – input di Politica dei Cittadini che, per loro natura, soddisfano reali bisogni sul territorio e sono comprese dai cittadini poiché sono da essi in qualche modo concepite, co-progettate.

E, cosa particolarmente importante, tali iniziative saranno sempre gestite con senso di responsabilità dai cittadini, poiché nel processo di partecipazione nel quale sono coinvolti essi sviluppano, appunto, la qualità necessaria per il buon funzionamento della Democrazia: una consapevolezza civile (ed anche il “saper fare” nella gestione delle cose sul territorio).