Oggi si assiste al fallimento delle strategie dei Movimenti che affermano di basarsi sulla Partecipazione, fenomeno che, a monte di tutto, dipende dalla errata interpretazione del concetto di Partecipazione < vedi “Equivoci sulla partecipazione” >.

Il problema si poneva in modo relativamente leggero nel caso dei partiti tradizionali. Ma diviene pressante nel caso di un Movimento che sia stato eletto per le sue promesse di .adottare metodi di governance partecipata.

Vediamo qui, in estrema sintesi, cosa è e cosa non è la Partecipazione (si tratta di note per la stesura di un Manifesto della Partecipazione).

cosa non è (i problemi)

 partecipazione non è  PARTECIPAZIONE DI ATTIVISTI di un Partito o Movimento il quale ricopre cariche di potere istituzionali (o comunque persone già “dentro” le faccende della governance).

Ma è partecipazione di “cittadini qualunque”.

In questo modo oggi si crea semplicemente una partecipazione giocattolo, senza sbocchi effettivi nella quale si tende ad affidare incarichi sul territorio a gruppi di persone “fidate”, le quali però con il tempo divengono sempre più insofferenti nel vedere che i risultati della loro attività di partecipazione rimangono sulla carta < vedi “Policies 2.0: l’equivoco alla base del fallimento delle “politiche partecipate” >.

partecipazione  non è  un termine utilizzato come ESPEDIENTE DEMAGOGICO  PER VINCERE LE ELEZIONI,

Ma è l’unica modalità di sviluppo di strategie politiche che (come si illustrato nei prossimi punti) può permettere di realizzare un reale cambiamento delle modalità di politica attuali (verso la Democrazia partecipata).

Non applicando la reale partecipazione, un partito outsider finisce per perdere le successive elezioni).

partecipazione  non è  LO SVILUPPO DELLE POLITICHE DEFINITE DA UN PARTITO  o Movimento.

Ma è la partecipazione attiva, propositiva (ed in qualche modo realizzativa) di politiche dal basso.

partecipazione  non è  una opportunità di SVILUPARE UNA AZIONE “PEDAGOGICA”  PER INSEGNARE AI CITTADINI COSA È “GIUSTO”.

Ma è un sistema nel quale i cittadini scelgono direttamente, in ogni aspetto specifico della loro vita sociale, cosa è giusto per loro (un sistema nel quale gli organi istituzionali, si pongono semplicemente come facilitatori).

Adottando l’approccio pedagogico (tipico dei totalitarismi) si perde il contributo fondamentale della cittadinanza, la quale è l’unica che permette di:

sviluppare strategie di successo per la soluzione dei problemi dei territorio, tenendo conto che: (1) le “politiche” non possono che essere finalizzate a processi di soddisfazione dei bisogni dei cittadini; e che (2)  i migliori co-ideatori di forme di soddisfazione dei loro bisogni sono i detentori dei bisogni stessi.

difendersi dai poteri consolidati: la cittadinanza è l’unica chance per movimenti outsider per poter contrastare i “poteri  tradizionali” (i quali sono in grado di estromettere chiunque da cariche istituzionali con l’appoggio di media e magistratura). ..

 partecipazione non è  ACQUIETAMENTO (placation1) DELLA CITTADINANZA  (insofferente)  E DEGLI ATTIVISTI  (critici nei confronti delle azioni delle politiche del Movimento).

Con questa strategia da un lato si fa bella figura con concessioni di strumenti che i cittadini pensano possano effettivamente produrre azioni di Democrazia partecipata. Mentre, contemporaneamente, si prende tempo  (rimandando soluzioni di reale partecipazione)  “gestendo” la cittadinanza mentre si sviluppano le proprie politiche “di vertice”.

Tale strategia si sviluppa con:

il “dare voce” ai cittadini attraverso sondaggi o questionari: in tali contesti di pseudo-partecipazione i cittadini si impegnano nel cercare di far ascoltare le loro proposte, o si sfogano criticando le politiche ufficiali.

offrendo forme di pseudo-partecipazione –  che non possono sbocciare in nulla di concreto – che danno alla cittadinanza la temporanea illusione di poter sviluppare effettivamente idee di politica per il territorio.

In tali strategie (quelle attualmente applicate a Torino) manca appunto qualsiasi possibilità di arrivare ad azioni propositive da parte della cittadinanza (e dei militanti della base); ma manca anche qualsiasi azione di reale ascolto.

alcuni equivoci su termini legati alla partecipazione

Una serie di importanti equivoci riguardano alcuni termini specifici usati oggi relativamente alla questione della partecipazione:

opinione pubblicai cittadini non sono opinione, ma sono i detentori del Potere democratico (ossia hanno capacità di deliberare, per lo meno in forme di interazione con le Istituzioni di governance tradizionale).

ascolto, dar voce, consultazione; ciò che serve in una dimensione di partecipazione è un empowering dei cittadini (distribuzione potere decisionale verso il basso) –  la cittadinanza non deve essere “consultata” in senso tradizionale (tavoli di ascolto, sondaggi, portavoce) ma ad essa deve essere delegato il potere decisionale (almeno una parte) oggi detenuto dalle Istituzioni governative (i portavoce avrebbero un senso se il ruolo fosse regolato da norme che li obblighino ad interagire con la cittadinanza – ma oggi queste regole non esistono).

informazioneoggi si sviluppa una informazione passiva e limitata, ovvero si “pubblicano”  informazioni strategiche che i cittadini devono andarsi a cercare sul Web (e le informazioni sono parziali, e  di difficile interpretazione).  Si sviluppa più che altro una informazione di facciata, fatta attraverso mass media, poster, interviste nei telegiornali, mostre e convegni su “progetti”. Una informazione che è una sorta di demagogia manipolatoria nei confronti della cittadinanza.

engagement – si tratta non di attirare i cittadini su cause decise a monte, ma di facilitare processi di sviluppo di iniziative dal basso dei cittadini.


1 Sherry Arnstein