Una analisi della situazione sulla partecipazione a Torino: l’inibizione dei processi di partecipazione da parte delle Istituzioni tramite l’occupazione degli spazi di potenziale partecipazione con processi di pseudo-partecipazione che impediscono la possibilità di sviluppare reali condizioni di partecipazione.

Il problema della Partecipazione negli ultimi (da quando si è ricominciato parlare di Partecipazione democratica come alternativa alla gestione fallimentare della PA da parte dei Partiti) non è tanto nell’assenza della partecipazione in sé (di fatto non esistono strumenti di reale partecipazione in nessuna realtà locale in Italia), ma nella appropriazione degli spazi di potenziale partecipazione con forme pesudo-partecipazione che sono in realtà finalizzate a mantenere l’attuale sistema della Politica dei partiti (politica in favore dei partiti, e non della cittadinanza).

Ovvero il “sistema politico” tradizionale approfitta di una totale mancanza di una cultura della partecipazione: i cittadini non sanno affatto cosa si intenda per Partecipazione democratica, nè sanno quali sarebbero per loro i vantaggi di una reale partecipazione.

In questa situazione le Istituzioni governative fanno passare per sistemi di partecipazione – con un atteggiamento demagogico che fa credere agli elettori di poter che essi possano essere agenti di cambiamento – strumenti che in realtà non fanno, appunto, che rafforzare le metodologie tradizionali delle Politica dei Partiti.

Il problema è che la cultura della partecipazione può essere solo sviluppata “nel fare”: solo praticando la partecipazione le persone si possono fare una idea di cosa essa sia, e di quali siano i vantaggi che essa è in grado di apportare.

Di fatto vengono quindi

occupati spazi di potenziale partecipazione affinché non vi sia più spazio per sviluppare una reale Partecipazione.

(nel Gattopardo ciò è detto fare qualcosa per non fare nulla).

In questo modo i finanziamenti e le attenzioni progettuali vengono in questo modo dirottati su tale falsa linea di pseudo-partecipazione, in modo che non rimanga spazio per chi sente la necessità di iniziare a sviluppare iniziative di reale partecipazione: che si sente quindi dire, quando si propongono nuovi strumenti di partecipazione, che il sistema di partecipazione “c’è già”; e se si parla di modifiche al pseudo-sistema attuale ci si sente dire “non si può fare” (vengono spesso addotte giustificazioni di tipo tecnologico o legale, che se analizzate con attenzione risutano essere infondate).

I problemi prodotti da questa situazione risiedono sia nelle funzionalità degli strumenti; sia nei processi di partecipazione (delle regole che definiscono tali processi).

In tale condizione il sistema di governance è di fatto blindato nei confronti di qualsiasi tentativo di miglioramento in direzione della partecipazione. Ovvero nel sistema attuale:

1) qualsiasi azione di partecipazione (qualsiasi iniziativa proposta dal basso) viene filtrata in nome della necessità di dover valutare, attraverso l’intervento di “esperti, la fattibilità dell’azione (si tratta di persone che vengono definite come esperti super partes, che in realtà interpretano la volontà Partiti politici al governo della città)

2) non rimane più spazio per chi volgia approntare nuovi processi (e strumenti) di reale partecipazione.

Il caso di Torino

Un esempio questa occupazione degli spazi di partecipazione con processi di pseudo-partecipazione è quello della piattaforma di “partecipazione” annunciata dal comune di Torino, nella quale vi sono più livelli di neutralizzazione di azioni di reale partecipazione (a sentire la descrizione ufficiale). In tale piattaforma infatti:

1) non sono previsti strumenti di partecipazione orizzontale (che mettano i cittadini nella condizione di poter organizzare le proprie idee, dibatterle ed organizzarle in gruppi di lavoro per sviluppare prime bozze di progetti <vedi: http://www.lucabottazzi.com/lib/writings/2017/11/16/strategie-di-partecipazione/>)

In assenza di tali strumenti (sostanzialmente di Progettazione partecipata) si crea una impossibilità reale di partecipazione (di sviluppo di idee); ossia solo i cittadini “politicizzati” (quelli in qualche modo in relazione con i Partiti) pubblicheranno idee sulla piattaforma.

2) la necessità di trovare 5.000 adesioni ad una mozione rende estremamente difficile, per cittadini che vogliano attivare una iniziativa locale sul territorio, accedere al sistema.

Si tenga conto che le iniziative dei cittadini, per lo meno in una fase iniziale, non possono essere che locali (come la sistemazione di un giardino). Ed iniziative di tale genere non coinvolgono più di qualche centinaio di persone.

Solo in una fase di maggior “maturità” del sistema si può pensare ad una governance più generale.

3) il fatto che qualche team di esperti indicate dalle Istituzioni giudichi se la proposta dei cittadini è fattibile, pone poi un ostacolo determinante allo sviluppo di idee dei cittadini, poiché tale team nominato dal Comune esprime, ovviamente, un parere politico. Ritorniamo cioè alla discrezionalità delle scelte degli interventi sul territorio da parte Partiti: è molto difficile immaginare che una proposta dei cittadini che pur essendo in contrasto con la visione “politica” delle istituzioni, possa passare questo esame.

Si potrebbe forse comprendere, in questa fase, un tipo di “esame partecipato” dalla cittadinanza della proposta: ad esempio con un micro-referendum della cittadinanza (vedi in altri documenti come “light voting” possa essere sviluppato in modi estremamente economici, ad esempio utilizzando le macchinette delle ricevitorie).